Sono una sostenitrice dell’azione, una persona che crede che la propria storia la si sviluppi scrivendola.
«Nulla die sine linea», il motto attribuito da Plinio il vecchio al pittore greco Apelle, mi calza decisamente bene.
Succede però, anche alle persone cosiddette d’azione, di trovarsi a un bivio e non avere alcuna idea di quale sia la direzione da prendere.
Accade di trovarsi in un cul de sac e non sapere che pesci pigliare.
E allora, al nulla die sine linea, alla fede nell’azione costante, si aggiunge una domanda: come?
Perché non sappiamo che fare?
Non c’è una risposta univoca e sempre valida a questa domanda.
Alcune volte non sappiamo come muoverci e in quale direzione perché ci accade qualcosa di imprevisto che ci confonde, o qualcosa di prevedibile ma doloroso che annienta la nostra vitalità.
Altre ci arriva il gavettone gelato della consapevolezza che ci risveglia da un torpore durato settimane, mesi, anni, o da una rêverie, una fantasia piacevole e romantica senza alcun ancoraggio nella nostra storia.
Capita di non saper cosa fare quando ci culliamo nell’illusione di poter fare ogni cosa ci passi per il capo andando così a infilarci in un loop di mancanze.
In tutti questi casi c’è una costante: non sappiamo che fare quando cambiano i punti di riferimento sui quali avevamo impostato la mappa della nostra rotta.
L’imprevisto che confonde
Soltanto due settimane fa, Alex Zanardi, ex pilota, oggi atleta paralimpico, ha stabilito un nuovo record nel Triathlon, e io ho ripensato a una frase che debbo aver letto da qualche parte:
«Cadere è un incidente. Restare a terra è una scelta»
Che è una frase ad alto impatto emotivo. Una di quelle frasi che quando la leggi ti figuri subito Yoda, Shifu o il maestro Kesuke Miyagi e ti dici: «Ecco, sì!»
Sì con asterisco però, perché dopo tre secondi sei di nuovo lì a domandarti come diavolo facciano persone come Zanardi, o Bebe Vio, e insieme a loro tutti gli uomini e le donne che incappano in incidenti di percorso davvero tosti, a riprendersi dallo shock, dalla rabbia e dall’annichilimento.
Zanardi, in un’intervista, al giornalista che gli domandava come avesse fatto a riprendersi dopo l’incidente che gli aveva portato via entrambi gli arti inferiori, ebbe a rispondere che si era concentrato su ciò che gli era rimasto e non su ciò che aveva perso.
L’imprevisto scompagina i piani e ci fa sentire minuscoli, vulnerabili, in balia dei capricci del fato.
Tuttavia, l’imprevisto che confonde ci dà l’occasione per fermarci a fare qualcosa che nella corsa al «meglio» e al «di più» perdiamo l’abitudine di fare: valorizzare quel che c’è.
Il prevedibile che addolora
Ci sono circostanze prevedibili la cui prevedibilità non ci mette comunque al riparo dal dolore e dall’erosione di vitalità che quel dolore porta con sé.
Perdere una persona cara dopo una lunga malattia, per esempio.
Separarsi o divorziare dopo aver creduto e investito in quella coppia, in quella nuova famiglia, e aver lottato per tenerla insieme.
Farsi da parte e lasciare andare un figlio per la sua strada quando arriva il momento.
Situazioni in cui, anche se non all’improvviso, la vita come l’abbiamo vissuta fino a quel momento cambia. Ed è come trovarsi in uno spin off della nostra storia senza avere in mano la nuova sceneggiatura.
Si sente spesso dire: «È bloccato nel suo dolore», ma il prevedibile che addolora non annienta la capacità d’azione, semmai la concentra in un agire più interiore che esteriore.
Da fuori potremmo anche apparire fermi, bloccati, ma solo perché ci stiamo ricostruendo dall’interno; perché stiamo cambiando i paradigmi per dare il via a nuove narrazioni di noi stessi.
Il troppo che stroppia
L’idea diffusa che si possa fare la qualunque crea una storpiatura di valori: se ogni cosa che posso fare ha per me lo stesso valore, in base a quale priorità scelgo che fare?
La verità è che possiamo fare qualunque cosa, ma non ogni cosa; che se non impariamo a dare un valore a ciò che facciamo, qualunque cosa faremo perderà di significato. E se ciò che fai vale quel che vale, cosa ti motiva a portarla avanti?
Quando siamo assediati da troppe possibilità, è il momento di battere in ritirata, sedersi nella sala consigliare per fare due chiacchiere con se stessi e riorganizzare la propria strategia partendo da una domanda: «Tra venti o trent’anni, sfogliando le pagine del mio passato, cosa rimpiangerò di più di non aver fatto?»
E se proprio non dovessi riuscire a farlo partendo dal futuro, fai lo stesso esercizio tornando nel tuo passato: «Se premi rewind sul film della tua vita, cosa rimpiangi di più di non aver fatto?»
Quattro cose da non fare quando non sai che fare
Esistono quattro fatal flaw diffusi, quattro errori fatali in cui inciampiamo quando non sappiamo che fare:
-
guardare il giardino del vicino
-
chiudere il mondo fuori dalla porta
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acquistare soluzioni random
-
cercare compensazioni
Guardare il giardino del vicino
Quanto è facile ficcare il naso nelle vite degli altri! Guardare attraverso il buco della serratura dei social quanto perfette siano le altre case, quanto migliore sia il lavoro degli altri, come procedano più fluidamente delle nostre le giornate altrui.
E tanto più ci lasciamo sedurre da queste narrazioni meravigliose, quanto più ci pare merdavigliosa la nostra.
L’ho chiamato campo magnetico del paragone: magnetico perché ci attira più del miele per una mosca e perché una volta che ci entriamo dentro è davvero difficile liberarsi di quell’energia centrifuga.
Non mi dilungo ulteriormente perché ne ho già scritto in modo approfondito in questo vecchio post.
Quel che ripeto anche qui è che dal campo magnetico del paragone se ne esce sempre sconfitti, soprattutto quando ci entriamo in un momento di confusione.
Spiare nella cesta di un altro pescatore non ti dirà certo quali pesci pigliare con la tua canna e le tue esche, né tantomeno ti aiuterà a migliorare la tua tecnica di pesca.
Chiudere il mondo fuori dalla porta
Quando non si sa che pesci pigliare, chiudersi in se stessi per l’imbarazzo del mostrarsi confusi, vulnerabili, incompleti e inconcludenti, può sembrarci una soluzione.
Tuttavia, tra lo spiare in modo maniacale la vita degli altri e imitarne goffamente le soluzioni [di imitazione ho scritto qui e qui], e il chiudere il mondo fuori dalla porta, esiste un punto di equilibrio: il sano confronto.
Isolarsi, infatti, non fa che tenerci schiavi di un unico punto di vista: il nostro.
Per quanto si possa essere timidi, introversi e riservati, si ha sempre una rete di persone di fiducia con cui confrontarsi. Possono essere amici, famigliari o professionisti. Non importa con chi scegliamo di confidarci, importa solo che le porte dell’incontro e del dibattito rimangano aperte.
Perché alcune volte servono un paio di occhi nuovi ed esterni per riuscire a vedere le nuove possibilità.
Acquistare soluzioni random
Conosco da vicino questo fatal flaw. In passato, ogni volta che non sapevo come procedere in una situazione, mi lanciavo in una nuova sfida.
Se il corso x non mi aveva portato al risultato auspicato, allora mi iscrivevo al corso y per raggiungere un altro risultato che con il primo non aveva alcun legame di parentela.
Piuttosto che non fare nulla, era meglio fare una cosa qualsiasi (sì, la faccenda del nulla die sine linea può prendere la mano…).
Fare una cosa qualsiasi pur di non rimanere ferma mi pareva una cura al mio non saper davvero che fare. Ma ho imparato a mie spese (e che spese!) che senza una diagnosi precisa, non esiste cura efficace.
Prima di spendere per l’ennesimo corso di formazione o per l’ennesimo servizio in abbonamento sperando che curino il tuo mal di «che fare?», ti consiglio di investire in un bel check up completo.
Cercare compensazioni
Lo so, lo shopping compensativo può essere consolatorio. È così inebriante entrare in un negozio e ottenere in un amen l’appagamento di un desiderio. Soprattutto quando i desideri grandi e importanti sembra non abbiano la benché minima intenzione di manifestarsi, figuriamoci realizzarsi!
Ma quella sensazione euforizzante dura quel che dura e il problema che lo shopping consolatorio ci ha aiutati per un attimo a dimenticare, torna più ringalluzzito di prima, fino al prossimo tentativo di compensazione.
In conclusione
Se non sai che pesci pigliare:
- fatti un giro nella tua storia e recupera tutta la lista delle cose che sono già nella tua disponibilità immediata e che puoi valorizzare
- cerca confronti sani con chi può sul serio (e possibilmente da vicino, perché da lontano, con i giusti filtri, siamo tutti buoni e belli), aiutarti a guardare la tua storia da un diverso punto di vista
- non tentare ‘cure’ a casaccio, ma prenditi il tempo per arrivare a una diagnosi precisa del tuo mal di «che fare?»
- non disperdere risorse preziose in compensazioni effimere. Come scrisse il filosofo gesuita Baltasar Gracian: «Occuparsi di cose futili è peggio che non fare niente»
A quest’ultimo punto ci tengo ad aggiungere una nota: futile è tutto ciò che non serve la tua felicità.
Il che non significa che se non sei sicura o sicuro di ciò che ti rende felice, allora sei autorizzato a non fare nulla. In quel caso il compito è metterti in cammino alla ricerca della tua personale definizione di felicità.
E se lungo il cammino sbaglierai qualche bivio, se qualche volta ti perderai, se non saprai che fare, la miglior bussola che puoi seguire è: non fare nulla che possa fare di te un personaggio minore della tua storia.
Prova settimanale dell’eroe
Questa settimana non ti lascio con un esercizio, ma con due suggerimenti librari che possono aiutarti a partire con il piede giusto dal punto uno dell’elenco di poco sopra, due titoli che ti insegnano a fare un uso più introspettivo delle liste :
• L’arte delle liste, di Dominique Loreau, Vallardi, 2015
• Il quaderno delle liste, di Giovanna Angiolini, Kellerman, 2018
Se invece vuoi ritrovare il filo della tua storia attraverso un romanzo che si adatti alla tua ricerca di questo periodo, butta un occhio al mio percorso di book coaching.