Cosa mi manca per essere felice?

Ogni anno, sul principiare della primavera, sono colta dal desiderio di mettere ordine.

Lo faccio occupandomi dello spazio intorno a me, gettando le cose che ho accumulato nei dodici mesi passati; liberandomi degli abiti che non ho più voglia di indossare o che hanno fatto il loro tempo; ripulendo il computer dai doppi, tripli e quadrupli file di lavorazione che ho salvato; rassettando le mie abitudini (relazionali, professionali, alimentari…); scrivendo su uno dei miei quaderni tutte le esperienze, i ricordi e le informazioni che voglio lasciare andare.

Ad ogni primavera, rimango stupita dalla mia capacità di ammucchiare pratiche, cose e pensieri.

Questa mobilitazione generale parte da una sola e semplice domanda:

«Tutto ciò di cui posso nutrirmi è anche ciò di cui voglio nutrirmi?»

O detto con una metafora più eloquente ancora: ciò con cui riempio il ventre della mia storia, mi è di nutrimento?

Non voglio essere Cerbero

Nel VI canto dell’Inferno, Dante e la sua guida, Virgilio, incontrano Cerbero: una terribile fiera con tre teste, una di cane, una d’uomo e l’altra di demonio.

La parte che mi ha sempre colpita di più di questo incontro è quella in cui Virgilio, per tenere a bada la belva famelica, le getta tra le fauci un pugno di terra, e la bestia, riempita la pancia – di nulla di buono o lontanamente nutriente – si placa:

«e il duca mio distese le sue spanne,
prese la terra e con piene le pugna
la gittò dentro alle bramose canne»
(Inferno, VI, 22-27)

Cerbero, demonio che ha in carico i dannati del girone dei golosi, ovvero di coloro che in vita si sono macchiati, a vario titolo, del peccato d’ingordigia, somiglia in tutto e per tutto alle anime tormentate di cui è l’aguzzino, condannate a cibarsi, per l’eternità, di pioggia e neve:

«per la dannosa colpa della gola,
come tu vedi alla pioggia mi fiacco»
(Inferno, VI, 53-54)

Non so cosa ne possa pensare tu, ma io non ci tengo a soffiare il  ruolo a Cerbero, e nemmeno a nessuno dei suoi galeotti affamati.

Al rimpinzarmi di nulla senza sentirmi mai sazia e appagata, scelgo il nutrirmi di quanto basta e mi soddisfa. Alla quantità – di cose, esperienze, relazioni –, preferisco la qualità.

Dalla brama al desiderio

Tre teste e un solo corpo: Cerbero è la metafora perfetta per spiegare la differenza tra desiderio e brama.

Tra daimon, il demone del desiderio che dissemina la nostra trama di chiamate al compimento, spingendoci a manifestare il nostro potenziale; e demonio, o «cattivo seme» come lo definisce Hillman: un daimon sofferto e inquieto che ci porta a confondere il desiderio con la bramosia; il sogno con il bisogno; la tensione all’abbondanza con l’avidità.

Quando agiamo in sintonia con il nostro daimon, partecipiamo al banchetto degli dèi, coloro che manifestano la propria scintilla luminosa e numinosa e la elargiscono, non come invitati beneficianti, bensì come ospiti.

Se agiamo sotto il controllo del cattivo seme, siamo schiavi di una fame insaziabile alla quale reagiamo ora ingurgitando qualsiasi cosa, purché il vuoto si plachi; ora privandoci persino dell’indispensabile per non peccare di ingordigia.

Crapuloni o asceti

Il Medioevo è finito da un pezzo, ma non ce ne siamo accorti.

In quell’epoca di grandi contraddizioni e polarizzazioni, il cibo non era soltanto una risorsa indispensabile alla vita, ma un segno distintivo di potere e opulenza: quanto più una persona mangiava e sprecava, tanto più mostrava quanto fosse ricca e potente.

Al lato opposto del ring, la privazione: quanto più una persona si privava, per scelta, di cibo, tanto più mostrava quanto fosse perfetta e santa la sua condotta.

Oggi, più di cinque secoli dopo, le cose, non sono troppo diverse: da una parte i menù All you can eat, dall’altra i digiuni purificatori.

La moderazione non è mai stato il lato più sviluppato della nostra specie, e non solo per quanto riguarda la gola.

La golosità non è solo questione di gola

La golosità non è circoscritta soltanto al cibo, bensì a qualunque forma di bulimia o anoressia possa coglierci invalidando l’esercizio della libertà individuale (ovvero della persona non divisa tra due o più ‘teste’, ma integra).

Anoressia ben rappresentata da taluni movimenti che inneggiano alla decrescita della qualunque, a un’infinitamente poco ai limiti del luddismo e dell’anacronismo.

Bulimia ben incarnata da un certo mercato che spinge al consumismo sfrenato con slogan legati all’esclusività, all’impareggiabilità e alla convenienza.

Avere gli occhi più grandi della pancia

Perché vogliamo più di ciò di cui abbiamo davvero bisogno per vivere al massimo del nostro potenziale? Perché abbiamo gli occhi più grandi della pancia?

La mia risposta, ma vagliala, discutila e distruggila se per te non funziona, è che guardiamo il mondo attraverso il filtro della mancanza.

Per una tabe ereditaria e culturale, i nostri pensieri sono corrotti da tutta una serie messaggi inconsci che invitano al basso profilo: non vantarti, non celebrarti, non lodarti, perché tutto ciò che fai, in fondo, è solo il tuo dovere.

Quando qualcuno, contraddicendo gli insegnamenti di cui sopra,  mostra quel che è, e ciò che ha, con grande soddisfacimento, siamo torturati dall’invidia.

Ne consegue che: se tutto ciò che facciamo è a malapena il minimo sindacale per poter fare parte del clan, un puro dovere, un niente di che, la persona che esibisca soddisfazione, sfoggi la propria natura, celebri i propri successi e si entusiasmi per le proprie azioni, debba avere qualcosa che a noi di certo manca.

Il ciclo vizioso delle mancanza

Se qualcosa mi manca, ho un vuoto. E se ho un vuoto, lo devo riempire subito, prima che mi risucchi. Finiamo così per prendere quel che c’è, quando c’è, senza star troppo a chiederci quanto ci nutra davvero.

Quante volte, nel tentativo di colmare un vuoto, ti sei infilata, o infilato, in una situazione che ti ha svuotata, o svuotato, ancora di più? Che ti ha fatto sentire una persona ancora più insufficiente, carente, incompleta di quanto già non ti sentissi? 

Non sei tu che hai il lanternino per le situazioni insoddisfacenti, è il ciclo vizioso a cui ci riduce la mancanza: per non essere affamati divoriamo qualunque cosa per poi trovarci divorati dalla nostra stessa fame insoddisfatta.

Nuove misure

«Cosa mi manca per essere felice?» non è una cattiva domanda, ma non è una domanda buona per tutte le stagioni.

Quando partiamo da cosa manca, in automatico il cervello lista tutto ciò che rappresenta una carenza:

• non ho una relazione felice e appagante
• non ho un lavoro soddisfacente che mi faccia sentire realizzata/realizzato
• non ho un portafoglio a fisarmonica (pieno, grazie!)
• non ho una casa in cui ho piacere di tornare
• non ho tempo per me
• non ho i soldi per una vacanza
• non ho idee

E con tutti questi «non ho» è facile cadere nello schema del: «Piuttosto che niente, è meglio piuttosto!»

Inizia da ciò che hai

«Cosa, tra le cose che ho, mi rende davvero felice?»

È la domanda che mi ha accompagna nelle mie personali pulizie di primavera. E in quel «cosa mi rende davvero felice» c’è tutto: gli oggetti, le relazioni, i progetti, i vestiti, le abitudini…

Perché ciò che abbiamo e ci rende felici, è il nostro «qualcosa», il nostro anti vuoto, il nostro «ben più che niente». E la somma di questi piccoli qualcosa fa il «quanto basta».

Nel momento in cui approcciamo i desideri sapendo di avere «quanto basta», i nostri occhi tornano a misura della nostra pancia e non abbiamo più bisogno di ingollare qualsiasi stuzzichino ci passi sotto il naso.

Abbandoniamo così la fame nervosa per abbracciare il nutrimento: vale per il cibo tout court, per la vita personale e per quella professionale.

Prova settimanale dell’eroe

Scrivi una lista di tutto ciò che hai e che ti rende felice e ti fa sentire nutrita, o nutrito.

Puoi farne una per ogni settore della vita: famiglia, salute, relazioni, denaro, realizzazione professionale…

Includi, in questa liste, anche le tue abilità, le tue qualità personali, gli strumenti che sai maneggiare con destrezza, gli oggetti. E nel farlo cerca di essere onesta, od onesto: non esagerare, non diminuire.

Appendi le tue liste anti vuoto dove puoi vederle ogni giorno e assicurati di inserire, lungo il corso dei mesi, tutto quanto si aggiungerà. E se qualcosa che hai inserito non dovesse più renderti felice, premurati di toglierlo: è sempre bello far spazio a qualcosa che ci nutre di più.

Ti auguro una splendida e nutriente settimana!


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