La mia amica Elisa è sempre stata appropriata. Per lo meno, io l’ho sempre vista così e mi pareva, quando c’era un paragone tra noi, di perdere a mani basse.

Verso gli otto anni, coetanee, amiche, iscritte alla stessa scuola e allo stesso gruppo di catechesi, ci trovammo a fare entrambe la Prima Comunione.

La mia mamma, che al tempo aveva un’azienda di produzione di abbigliamento, si prese l’incarico di confezionare sia per me che per Elisa gli abiti cerimoniali. Disegnò ella stessa i modelli – mia madre dico, non Elisa – e nel disegnarli diede a uno di questi il mio nome.

L’abito Carlotta era, come si dice in gergo, “a sacchetto”: il taglio, che sulla carta pareva l’ideale per le mie forme paffutelle, una volta imbastito e indossato risultò impietoso. Dentro ci stavo più o meno come trentacinque chili di patate bollite. Così, il modello che portava il mio nome, finì sul corpo ben più leggero e aggraziato di Elisa la quale lo indossava con la stessa perfezione con cui una libellula indossa le proprie ali sottili.

Elisa era garbata, bionda, misurata. Io ero come la figlia di Giovannino Guareschi, mia omonima peraltro, detta la Pasionaria perché «numerosa e progressista come un partito di massa» (un invito a leggere Lo Zibaldino, se non lo hai già letto, te lo faccio!).

Il che, per noi bambine, non solo non rappresentava un problema, ma andava bene. Anzi, benissimo vista la ricchezza che questa complementarietà di caratteri portava alla nostra amicizia. Tuttavia, intorno, c’era sempre qualcuno che aveva voglia di sottolineare, comparare, raffrontare: tant’è, che senza accorgermi, mi sono trovata come aspirata nel ciclo del paragone.

A ciascuno il suo

Immagino che anche tu abbia avuto una versione del tutto personale di un’Elisa nella tua vita. Anzi, è probabile che tu, come me e come molti, ne abbia avuta più d’una e che il continuo paragone sia stato estenuante.

È possibile, anche, che un’Elisa specifica nella tua vita non ci sia mai stata, o non ci sia più; ovvero che tu abbia in mente nessuno in particolare quando nella tua testa partono pensieri come: «Santo cielo quanto sono noiosa/noioso!»; «Sono troppo/sono poco [scegli tu: alto/basso, magro/grasso, colto/incolto…]», «Mi sento un’aliena/un alieno».

Eppure, anche in assenza di un termine di paragone determinato e determinabile, hai la spiacevole sensazione di partecipare a un confronto costante e di non uscirne benissimo.

Se è così, sei nel campo magnetico del paragone dove ogni cosa buona, se tua, sarà sempre: o un po’ meno buona di quella degli altri; oppure così sfacciatamente migliore da non poter nemmeno essere messa sullo stesso piano. In entrambi i casi, il sentimento prevalente che caratterizza la tua vita è l’esclusione.

Il campo magnetico del paragone

Questo luogo della mente me lo sono sempre figurato come un campo magnetico perché proprio come calamite a carica opposta noi siamo attirati l’uno dall’altro dalle caratteristiche che ci contraddistinguono: l‘altro è dunque colui che ci somiglia abbastanza da innescare un processo di fiducia e avvicinamento, ma che al tempo stesso è il completamente diverso da noi che richiama la nostra natura curiosa, esplorativa, cacciatrice. Una combinazione che non può che esercitare un forte potere d’attrazione.

Quando questo attrarsi e osservarsi diventa uno scrutarsi, un cercare nel prossimo un segno del nostro valore, un prendere l’altro a metro di misura delle cose giuste e sbagliate, ecco che quel campo d’attrazione si trasforma in un campo di battaglia.

La parola paragone affonda le radici nello spagnolo → para con: in confronto con → con – frontare → mettere fronte a fronte. Un faccia a faccia, insomma. Un vero e proprio duello tra me e te, me e lui/lei, me e loro (in questo caso trattasi più correttamente di triello, o stallo alla messicana, Sergio Leone docet, ego disco –> io imparo t.d.r.).

Un confronto in perdita

Quando entriamo nel campo magnetico del paragone siamo già destinati a perdere. Non è detto però che sia una perdita in termini di autostima, di senso di efficacia e di fiducia.

[a tema autostima leggi anche il mio articolo sul Loop da disistima; a tema fiducia leggi invece quest’altro]. 

Poco sopra ho scritto che nel campo magnetico del paragone ogni cosa buona che ti appartenga sarà sempre o un po’ meno buona di quella degli altri, oppure sfacciatamente migliore; e so che la polarità delle due situazioni non ti è sfuggita.

Siamo abituati a pensare che il paragone che ci fa male sia quello da cui ne usciamo diminuiti (l’altro è più intelligente di me, più brillante, più bello, più solare, più capace…), ma non è così. Che se ne esca vinti o vincitori, questo faccia a faccia con l’altro ci porta comunque via qualcosa e quindi, in un certo qual modo, ci diminuisce. Lo fa separandoci dall’altro, ovvero privandoci del senso di appartenenza e di integrazione. Lo fa inibendo la spinta al cambiamento che ci aiuta a esprimere meglio il nostro potenziale. 

Sei nel campo magnetico del paragone?

Ci sono alcuni indizi che possono rivelarti se sei entrata, o entrato, nel campo magnetico del paragone . Vediamoli insieme:

eviti di entrare a far parte di gruppi costituiti (intorno a un’idea, a un’attività, a un hobby comune…)

◊ difficilmente, nelle situazioni sociali, ti senti rilassata, o rilassato, e sei troppo preoccupata, o preoccupato, di dire o fare la cosa sbagliata

ci sono aspetti di te, della tua personalità come del tuo aspetto, che non hai mai accettato e che sei persuasa, o persuaso, influenzino negativamente il tuo rapporto con gli altri

tendi a esagerare le differenze tra te e gli altri e a minimizzare somiglianze e similitudini

sei molto impegnata, o impegnato, a colmare le carenze della tua famiglia (per esempio ti dai molto da fare per raggiungere un miglior status sociale, economico e culturale)

eviti di metterti in situazioni in cui ritieni che verrebbero fuori, in modo evidente e sconveniente, quelle che hai individuato essere le tue carenze

Se ti sei riconosciuta, o riconosciuto, in almeno un terzo delle situazioni riportate qui sopra, iniziare a lavorarci su potrebbe migliorare di molto le tue giornate.

Tre azioni per iniziare a uscire dal campo del paragone

Il primo ricordo → qual è il primo ricordo che ti viene in mente in cui ti hanno, o ti sei, paragonata, o paragonato, a qualcun altro? Descrivilo con dovizia di particolari: quanti anni avevi, con chi eri, dove eri, chi era il termine di paragone, su quale terreno è avvenuto il confronto, come ti sentivi. Quante altre volte ti è capitato di rivivere quella stessa sensazione? Qual è l’aspetto ricorrente tra la prima e le altre?

Diario dei paragoni → tieni un diario di tutte quelle situazioni quotidiane in cui ti scatta in automatico un paragone (sia un paragone tra te e gli altri, sia tra altri che non contemplino te, come nel caso in cui ti trovi a paragonare un’amica a un’altra, un collega a un altro…)

L’istruttoria → il tuo impianto accusatorio, regge? Verificalo facendo un elenco dei presunti difetti, carenze e manchevolezze che vengono fuori da questi paragoni. Definiscili in modo preciso e trova la prova provata, nel mondo reale, che li confermi. Ora fai l’opposto: trova tutti gli elementi di prova che contraddicano quanto sopra. Verifica le prove oggettive raccolte e domandati: in che misura è valido il risultato del mio paragone?

Qual è la tua storia con il paragone? Raccontamela nei commenti.