agisci o subisci?

Se dopo averti mostrato l’immagine qui sotto, io ti domandassi in quale quadrante ti collocheresti in questo momento della tua vita, quale sarebbe la tua risposta?

Sondaggio su agentività e autoefficacia: dove sei tu?

Quando avrai scelto, prima di proseguire nella lettura, sapresti elencare tre ragioni per cui hai optato proprio per quel quadrante e non per un altro?

Mentre stavi scegliendo hai avuto un dubbio? Un’esitazione?

Ho lanciato lo stesso sondaggio su Instagram un paio di settimane fa (dopo aver ritrovato questo thread di Twitter che mi ero salvata su Notion) e i risultati, a ventiquattr’ore dalla pubblicazione, sono stati questi:

Agentività e autoefficacia risultati sondaggio

Alcune tra le persone che hanno partecipato al sondaggio mi hanno poi confidato di essere state in bilico tra ‘cricetini nella ruota’ e ‘geni incompresi’: in quanto geni incompresi, infatti, finivano con il sentirsi, e il comportarsi, alla stregua di cricetini nella ruota.

Altri mi hanno scritto che istintivamente si erano messi, o si sarebbero messi, tra i geni incompresi: la cosa però provocava in loro un fastidioso disagio.

La percezione di aver fallito la maggior parte delle imprese in cui si sono via via imbarcati lungo il corso degli anni, entrava infatti in conflitto con l’idea di genio che avevano registrato come modello nella loro mente.

Con le categorie e le definizioni è così: non è sempre o tutto bianco o tutto nero.

Quindi, ti prego, non prendere le parole che leggerai da qui in poi come una sentenza definitiva: raccogli, setaccia, separa e tieni solo quel che ti può essere utile.

Criceti, geni, rivoluzionari e intraprendenti

Cosa distingue gli uni dagli altri? Per tracciare in poche linee un identikit per ciascuna categoria potremmo dire che:

un talento ben nutrito e coltivato, unito a un alto livello di agentività, ci collocano solitamente nel quadrante dei rivoluzionari

un talento ben nutrito e coltivato, unito a un basso livello di agentività, ci spediscono nel girone infernale dei geni incompresi

un talento maltrattato, unito a un basso livello di agentività, ci mette immediatamente sulla ruota dei cricetini

• mentre un talento di cui non sempre ci prendiamo sufficientemente cura –magari anche vessato di tanto in tanto o sminuito – unito però a un alto livello di agentività, ci colloca immediatamente nel quadrante degli intraprendenti

Talento + agentività: la combo esplosiva

Di talento e di biologia del talento ho scritto abbondantemente qui: Autopsia del talento.

Di agentività invece ho accennato giusto qualcosa in questa sequenza di storie su Instagram che oggi voglio approfondire meglio.

Partiamo dalla definizione.

Con agentività umana (traduzione di human agency preso dalla teoria sociale cognitiva di Albert Bandura) s’intende la capacità dell’essere umano di agire attivamente e in maniera trasformativa, nel e sul contesto in cui è inserito.

A livello operativo, l’agentività si traduce nella facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi.

L’agentività secondo Bandura

Sostiene lo psicologo canadese Albert Bandura che un ambiente possa sì influenzare la biografia di una persona, ma non determinarla.

L’ambiente infatti non è che una successione di eventi transitori e transazionali (cambiamenti biologici; situazioni ed esperienze sociali connesse a ruolo, età, contesto; episodi discontinui o imprevedibili quali incidenti, malattie, lutti…) a cui ciascuno di noi può reagire o rispondere in modo diverso.

Nonostante i molti elementi fortuiti presenti nella nostra storia dice Bandura sostenuto dai risultati delle sue ricerche – ognuno di noi può sempre esercitare un governo intenzionale sulla propria vita.

Le tre tipologie di agentività

Esistono l’agentività personale (1), l’agentività per procura (2) e l’agentività collettiva (3).

La prima riguarda la capacità di un individuo di agire in modo da influenzare se stesso, le proprie dinamiche e gli aventi che lo riguardano più da vicino.

La seconda riguarda tutti gli ambiti in cui l’individuo non ha la possibilità di agire direttamente su eventi e dinamiche e quindi lo fa per interposta persona: votare e scegliere i propri rappresentanti politici è una forma agentività per procura.

L’agentività collettiva riguarda invece la capacità di collaborazione tra persone che, unendo abilità e risorse, risolvono, trasformano e realizzano ciò che non avrebbero potuto risolvere, trasformare e realizzare da sole.

I cinque capisaldi dell’agentività

L’agentività umana, di qualunque tipo, ha cinque caratteristiche fondamentali:

•  l’intenzionalità

• l’estensione temporale

• l’autoregolazione

• l’autocoscienza

• il senso di autoefficacia

Compiamo un’azione intenzionale quando interveniamo sul nostro funzionamento e sulle circostanze della nostra vita con piani d’azione e strategie di realizzazione.

Perché questo avvenga dobbiamo essere capaci di immaginare uno o più futuri possibili, e dunque porci obiettivi a breve, medio e lungo termine e ipotizzare risultati. E dobbiamo anche orientare gli sforzi del presente verso quel futuro immaginato. In altri termini: estendere temporalmente le nostre azioni.

L’autoregolazione ha invece a che fare con la nostra capacità di:

• adottare standard personali che aumentino il nostro senso di valore;

astenerci da atteggiamenti e abitudini che provochino in noi autobiasimo e autosvalutazione.

Un comportamento agentivo, inoltre, non può dirsi tale senza un’analisi e una riflessione sull’appropriatezza e sul senso dei nostri pensieri, azioni e imprese.

Questo tipo di analisi sono da una parte lo strumento utile ad avvalorare il percorso che abbiamo compiuto; dall’altra lo strumento che ci aiuterà a rintracciare e ad apportare le correzioni necessarie per il prosieguo del viaggio.

Infine, non esiste capacità d’azione generativa e trasformativa senza la convinzione di poter esercitare influenza sugli eventi.

Senza cioè un alto senso di autoefficacia.

Autoefficacia alta o bassa?

«Che tu creda di farcela o no, avrai comunque ragione». Pare lo abbia detto Henri Ford e io non ho sufficienti fonti per confutare che sia davvero così.

Chiunque l’abbia detto, in ogni caso, non si è sbagliato per niente.

Gli studi di Bandura hanno infatti dimostrato che persone con un senso di autoefficacia basso si producono continuamente in pensieri autodebilitanti e svalutanti, e in conseguenti azioni di autosabotaggio.

Persuasi che qualunque sia la sua entità, ogni sforzo sarà comunque vano, le persone con un basso senso di autoefficiacia abbandonano prima delle altre i progetti che non decollano come si sarebbero aspettati; rinunciano a priori a realizzare i propri sogni; e in caso di fallimento smettono quasi subito di riprovarci e spesso non ritentano nemmeno una seconda volta.

Al contrario, le persone con un senso di autoefficacia alto credono che qualsiasi ostacolo possa essere attraversato e superato con lo sviluppo personale e la perseveranza; e nelle avversità restano resilienti e aperti al cambiamento.

E se la mia agentività è ridotta a un colabrodo?

Se la tua agentività è ai minimi storici, riparti dal tuo senso di autoefficacia e rimettilo a lucido.

Il senso di autoefficacia si forma attraverso quattro sorgenti:

• le esperienze dirette

• le esperienze vicarie

• la persuasione verbale

• gli stati fisiologici e affettivi

Le esperienze dirette

Sono tutte le esperienze che facciamo in prima persona e il cui epilogo diventa indicatore delle nostre capacità.

Se il tuo senso di autoefficacia è basso e il tuo livello di agentività è ai minimi storici, chiediti:

  1. in base a quali esperienze ho stabilito che non ho sufficienti capacità per…?
  2. quanti anni avevo?
  3. qual era la situazione intorno a me?
  4. come avrei potuto fare diversamente con gli strumenti che avevo a mia disposizione?

Le esperienze vicarie

O per meglio dire il confronto con esperienze, perlopiù analoghe alle nostre, avute da altre persone.

Se sei nella ruota del criceto o ti percepisci come un genio incompreso, prova a chiederti:

  1. conosco altre persone che hanno avuto esperienze analoghe alla mia?
  2. quanti anni avevano?
  3. qual era la situazione intorno a loro?
  4. cosa hanno fatto di diverso da me per stare meglio (o perché no, peggio)?

La persuasione verbale

Tutte le parole che si ripetono nel corso della nostra storia, in modo particolare quelle rivolte a noi, ma anche quelle a cui siamo esposti attraverso l’ambiente di riferimento, a lungo andare diventano una sorta di incantesimo.

Se sono buone parole (figlie di altrettanto buoni pensieri) l’incantesimo funziona da attivatore motivante. Se sono male parole (suggerite da malpensieri) funziona da attivatore demotivante.

Ecco le domande che ti consiglio di porti nel caso in cui il tuo senso di autoefficacia e la tua agentività giacciano come corpo morto giace:

  1. quali parole hai sentito più spesso associate a te?
  2. da quali parole sono state accompagnate le tue scelte? Erano parole incoraggianti o scoraggianti? Erano parole di fiducia o di sfiducia?
  3. quali parole appartengono al tuo clan/famiglia?
  4. quali parole potresti sostituire alle precedenti senza forzare troppo la mano? (se ti sei sempre sentita o sentito dire che eri brutta o brutto, non ti aiuterà ripetere davanti allo specchio 100 volte al giorno «Sono bella/bello!»: le affermazioni positive, per funzionare, devono poggiare su un elemento probatorio. Hai un bel naso? Perfetto, sostituisci il «Sono brutta/brutto» con «Ho un bel naso!». Lo stesso vale per caratteristiche di personalità o attitudini)

Gli stati fisiologici e affettivi

Parliamo di tutti quegli stati che erigiamo a indicatori (di forza o vulnerabilità, reattività o responsività, coraggio o paura…) e in base ai quali giudichiamo il nostro corpo, i nostri pensieri, il nostro operato.

Proviamo a hackerare i tuoi indicatori:

  1. completa la frase  «Io sono … e lo dimostra …» per tutte le caratteristiche positive e negative che ti riconosci
  2. inverti ogni «io sono» scritto per l’esercizio precedente, con un «Io non sono» e vai a caccia delle prove come fossi un avvocato difensore
  3. di quali «Io non sono» non sei riuscita o riuscito a trovare le prove?
  4. cosa puoi sostituire alle mancanze attingendo al tuo bouquet di ricchezze?

Conclusioni

Non pretendere che un paio di esercizi non tarati su di te risollevino dall’oggi al domani la tua agentività depressa.

E non cadere nel tranello del: «Figurati se qualche domandina a campione potrà mai farmi spostare di quadrante!»

Fai qualcosa di diverso dal solito: fai il contrario di quel che faresti. Metti il dubbio dove di solito metti fede; metti fiducia dove sei abituata o abituato a reagire con diffidenza.

Guardare le cose da prospettive opposte e contrarie aiuta ad allenare la vista alle alternative possibili e anche questo, alla fine, è un ottimo esercizio per risvegliare la propria agentività.

Se invece da sola, o da solo, ci hai già provato e hai capito di aver bisogno di un aiuto:

Chiedi e ti sarà dato