Elogio dell'insicurezza: perché dovremmo avere maggior rispetto della condizione che più rifuggiamo

Se ora scrivo qui, nero su bianco, che la più grossa fortuna della nostra vita è l’insicurezza, tu forse penserai che sono ammattita completamente, che questi giorni di pausa invernale mi hanno dato alla testa, che sono anni che vai in analisi proprio perché l’insicurezza ti si stava divorando per dritto e per traverso e…

Bingo! Sono anni che con l’aiuto di un terapeuta, o attraverso manuali di crescita personale, guidato o guidata dalla tua coach, da solo o da sola, in gruppo, in squadra, in classe, davanti a un libro o su un prato, tu, grazie all’insicurezza, non smetti di lavorare su di te.

E se non è un dono ciò che ci muove verso qualcosa che ci faccia vivere meglio, cosa lo è?

L’insicurezza come innesco della storia

In ambiente di scrittura si dice che la storia è sempre portata avanti da due motori: il bisogno e il desiderio.

È per realizzare il desiderio di una vita piena, completa, migliore, o per assicurarsi una vita felice, serena, accogliente, che l’eroe sfida il proprio tempo, i propri simili e se stesso e dà inizio alla sua storia.

E la matrice comune di bisogni e desideri è l’insicurezza.

Chi è sicuro, o anche troppo sicuro di chi è e di ciò che ha, o di chi non è più e di ciò che non può più avere, non ha ragioni per continuare ad agire la propria narrazione.

Ho fatto una domanda

Qualche giorno fa, nelle Instagram stories, ho lanciato un quiz/sondaggio chiedendo cosa accomunasse Kurt Cobain, Marilyn Monroe, Robin Williams, Amy Winehouse, Cesare Pavese e Sylvia Plath.

Ho dato quattro possibili risposte tra le quali scegliere:

  1. tutti famosi
  2. tutti morti suicida
  3. tutti ricchi
  4. tutti talentuosi

La risposta che ha ricevuto meno preferenze è stata ricchi, con il 3% delle scelte.

Seguono, in ordine percentuale: famosi, il 21%; talentuosi, il 29%, morti suicida, il 47%.

Non ho davvero idea di quanto fossero o meno ricchi Cesare Pavese e Sylvia Plath, non credo facessero la fame, tuttavia, messi in quel particolare insieme di personaggi, erano probabilmente i meno danarosi.

A parte la voce ‘ricchi’ che ha avuto un clic in più (l’unico in effetti) di quanto m’aspettassi, tutte le altre voci rispecchiano  il sentire comune: erano tutti famosi, tutti dotati di grandissimo talento e sì, tutti morti per suicidio. La cosa più difficile da dimenticare della storia di ciascuno di loro.

La sicurezza come blocco della storia

Non sono certo le risposte ricevute a un quiz/sondaggio su Instagram a validare la tesi che la sicurezza, o la troppa sicurezza in chi si è o non si è più, e in ciò che si ha o non si potrà mai più avere, annienti l’azione e quindi ci privi di vitalità.

Ma queste risposte, sommate ad altre del tutto simili per risultati ricevute nel tempo in altri contesti, sommate a loro volta ai dati raccolti in innumerevoli storie, saggi, studi, biografie, mi fanno dire che esista qualcosa in più che una mera coincidenza tra le leve che muovono o fermano le storie vere, e le leve che muovono o fermano le storie di finzione che leggiamo su una pagina scritta o vediamo in un prodotto audiovisivo.

In effetti, se i nostri progenitori scimmie si fossero sentiti al sicuro esattamente là dov’erano nati, non avrebbero avuto alcun bisogno di migrare, mischiarsi con altre specie, combattere altri branchi di scimmie per assicurarsi più risorse.

L’insicurezza che move il sol e le altre stelle

Le persone che non esitiamo a definire speciali che hanno camminato sul suolo di questo mondo, sono tanto speciali proprio perché non sono mai state certe che le cose andassero bene così com’erano. O che loro stesse andassero bene così com’erano.

Galileo non era sicuro che per spiegare il mondo bastassero le risposte metafisiche, speculative e teoretiche del suo tempo.

Gandhi non era sicuro che la lotta e il conflitto fossero l’unico strumento di liberazione che i popoli assoggettati potessero mettere in atto.

Quando leggiamo la biografia di qualcuno di importante, di noto, di riconosciuto successo, c’è sempre un punto della sua storia in cui si racconta che a spingerlo o spingerla a muovere tutto ciò che ha smosso non è stato riconoscersi come un essere umano indicibilmente completo, fortunato e realizzato, bensì l’opposto.

Giovani timidi e impacciati al limite dell’asocialità che hanno cominciato a seguire un corso di teatro alle scuole medie e sono diventati star da Oscar. Cenerentole, principi ranocchi, scudieri distratti destinati a diventare icone e allegorie viventi di nuovi codici e messaggi.

Disobbedire al piano sicurezza

«No, cacca brutta! Lascia! Butta! Sputa! Schifo!»

Non pretendo tu possa ricordare la tua prima infanzia, so però che se hai mai avuto a che fare con un genitore, o sei un genitore, o hai potuto osservare dei genitori in azione, è una frase che ti sarà successo di sentire ben più di una volta.

Da quando nasciamo, a quando moriamo, siamo sottoposti a un costante bombardamento di «allerta!».

Alcuni ci salvano la vita, ed è meraviglioso.

Com’è successo pochi giorni fa a un uomo d’affari sudamericano: grazie a un allarme lanciato da una app del suo smartwatch ha potuto recarsi al pronto soccorso più vicino e a prendere un infarto sul nascere.

Altri ci salvano dalla vita. E di meraviglioso non c’è granché.

Spesso, il porto da cui parte il Titanic dei nostri progetti è il porto che abbiamo scelto perché tra i tanti era quello che ci faceva sentire il più al sicuro di tutti.

La cerchiamo, la difendiamo, la auspichiamo, tuttavia la sicurezza è la più grossa bolla di sapone in cui chiudere la propria storia: è bella ma effimera.

E da dentro quella bolla, torre di controllo del nostro viaggio, trasformiamo qualsiasi esperienza non ancora identificata come sicura in: «Cacca, brutto, schifo, sputa!».

E se ti dicessi che invece, il più delle volte, è proprio nel mangiarne un po’ di quella cacca e nel mettersi a rischio di sicurezza che sta il più grande passo da far fare alla storia che portiamo nel mondo?

Come ha scritto (cito a memoria) uno dei miei drammaturghi preferiti, Lajos Egri:

«Un uomo, quando si espone per colmare un’insicurezza, inizia a mostrare coraggio persino se ha paura da morire»

Prova settimanale dell’eroe

Quale insicurezza devi ringraziare per averti mossa, o mosso, verso quella lezione o esperienza che ha reso un po’ più ricca la tua storia?

Sul tema del lasciare il porto sicuro, rompere la bolla e affrontare i brutti mostri, questa settimana condivido con te un consiglio di lettura: questo qui!