Ovunque si parli di donne che hanno trovato il principe azzurro – possibilmente bello, ricco e famoso – come di moderne Cenerentola, il sangue mi si raggela nelle vene.

Chiariamo subito:

    1. Cenerentola non è la storia di una donna che trova una collocazione nel mondo grazie a un matrimonio fortunato con un uomo facoltoso
    2. le fiabe possono portare a più di un’interpretazione, come succede con i fatti stessi della vita d’altronde, ma ogni lettura che si fermi alla superficie delle parole, sarà sempre una lettura che non ci darà tutto quel che ha da dare

Detto in altri termini: le fiabe hanno storie da raccontarci se quelle storie le vogliamo ascoltare con cuore e mente aperti. Altrimenti sentiremo un’infilata di situazioni più o meno divertenti, stupefacenti e intriganti, ma perderemo l’occasione di farci trasformare. Che è ciò che accade a qualunque protagonista di qualunque storia ben scritta: viene trasformato, da dentro, nell’anima.

La fiaba di Cenerentola e quel che ci racconta di noi

Cenerentola ci racconta di una metamorfosi dell’essere che da scisso trova un’integrazione.

Quante volte ti sei sentita, o sentito, divisa tra il desiderio del cuore e il senso del dovere? Tra la chiamata a essere qualcuno di diverso e la fedeltà a un’immagine costruita per compiacere il mondo esterno, per convenzione, per semplificazione?

Certi giorni, succede che mi senta così almeno sei volte prima di fare colazione, come direbbe la Regina di Cuori ad Alice. Sono pazza, problematica, sclerata? Lo sei tu, se capita anche a te? No. Ci troviamo semplicemente in uno stadio pupale in cui non siamo più qualcosa e non siamo ancora diventati altro: dis-integrati.

Cenere-ntola. Cenere: la brace che quando noi lo disattendiamo, tiene al caldo il nostro desiderio di essere esattamente chi siamo. O la terra che si fa intorno alla nostra ghianda e la protegge finché non sarà pronta a germogliare, per dirla con Hillman.

Cenerentola, il rifiuto del proprio potenziale e il dislivello esistenziale

Idrogeno e ossigeno diventano acqua soltanto quando si uniscono. Non che divisi non abbiano senso o valore, ma uniti sono la fonte della vita stessa. Due atomi di idrogeno e una di ossigeno: due sorellastre, una matrigna e una fanciulla in cerca di se stessa; due duplici, un Über-Ich impegnato a impartirci i suoi divieti e le sue ingiunzioni, e un Io che chiede di essere visto.

Ci sono, nella fiaba di Cenerentola, alcuni passaggi che raccontano davvero bene quel che ci accade quando entriamo nel rifiuto delle nostre doti e quindi del nostro compimento.

C’è la morte della mamma, per esempio: metafora dell’amore incondizionato che ci accoglie nel bene e nel male. Quando muore in noi questa capacità di accoglierci per quel che siamo, nelle nostre componenti antitetiche (forti e vulnerabili; simpatici e antipatici; generosi e avidi), diventiamo la matrigna malevola e invidiosa che ci tiene segregate, e segregati, in casa; che ci impedisce di mostrarci al mondo (venire alla luce).

In accordo con le sentenze di questa madre malefica che non fa che umiliarci nelle nostre doti migliori, ecco che incominciamo a percepirci immeritevoli di partecipare alla festa della vita (il ballo).

L’autentico che è in Cenerentola, viene quindi messo in secondo piano, quando non proprio negato, a favore degli alter ego Anastasia e Genoveffa: le sorellastre artefatte, costruite a misura delle convenzioni sociali. Sono loro ad andare al ballo con tanto di invito.

Quando Cenerentola si imbuca al ballo, o di quando riconosci e fai la pace con il tuo potenziale

C’è un grosso momento di angoscia nella fiaba di Cenerentola. Ella è a casa, sola e isolata, mentre la matrigna, le sorelle, e a quanto pare tutto il resto del mondo partecipa al ballo a palazzo. Nella versione del 1812 dei fratelli Grimm, quella che personalmente trovo più potente e profonda tra le tante in circolazione, questo è il punto in cui Cenerentola va sulla tomba della madre e lì, e solo lì, rivolgendosi al nocciolo, pianta i cui frutti sono semi, ha per la prima volta il coraggio di reclamare il suo valore:

«Scrollati pianta, stammi a sentire, d’oro e d’argento mi devi coprire!»

«Scrollati pianta», non senti vibrare ogni fibra del tuo corpo quando lo leggi? A me sembra che parli direttamente al nostro torpore: scrollati, non sei una pianta e non sei a servizio dei desideri altrui! Quanta potenza, no?

L’oro e l’argento che Cenerentola chiede per sé diventano quindi la metafora del riconoscimento, o meglio ancora dell’auto riconoscimento, per quel potenziale e quelle doti a cui finalmente ella stessa incomincia a dare valore.

Ed è in quel momento che decide di partecipare al ballo e di portare nel mondo tutto ciò che ha sempre avuto timore di mostrare.

Le fughe, la zoppia, gli inganni e infine l’integrazione

Stando sempre alla versione dei fratelli Grimm, il ballo non dura una sola notte, bensì giorni. E ogni giorno Cenerentola si presenta, sempre più bella, sempre più regale; e ogni sera rifiuta di farsi riaccompagnare a casa dal principe: ha paura che egli possa vedere la parte squallida della sua vita e perdere così ogni riguardo per lei. Cenerentola quindi sgattaiola via in fretta, prima che il principe possa seguirla, e in una di queste fughe perde la famosa scarpetta.

Come cammini con una scarpa sì e una no? Non so tu, ma io tendo a zoppicare. Quando si zoppica si fa fatica a trovare un centro, un equilibrio, un’andatura fluida e comoda. Se zoppichiamo nelle nostre scelte, se i nostri passi non sono allineati con i desideri dell’anima, è più facile inciampare.

Chi è il principe nella storia di Cenerentola? Io l’ho sempre interpretato come lo specchio in cui abbiamo finalmente il coraggio di guardarci (il ri-guardo di cui parlavo appunto poco sopra).

All’inizio della nostra metamorfosi ci specchiamo compiaciuti e speranzosi. Poi, con il passare del tempo, ci domandiamo se la persona che abbiamo davanti, riflessa, siamo davvero noi o non sia un’illusione, e allora cerchiamo di rientrare goffamente nel vecchio ruolo. Solo che il vecchio ruolo nei nuovi panni non ci sta più: deve farsi del male, come fanno le sorellastre di Cenerentola che per entrare nella scarpetta perduta si tagliano l’una un dito e l’altra il calcagno.

Il camuffamento che mettiamo in atto, oltre a procurarci dolore, dura poco. Lo specchio se ne accorge e ci smaschera: «No, non sei (più) tu». E non si arrende al nostro inganno, ma continua a rimandarci la questione: «Se questa persona che mi fai vedere non sei tu, tu chi sei?».

Quando Cenerentola smette di essere ora la matrigna, ora le sorellastre, ora la fanciulla dal destino avverso, e accetta di essere tutte queste donne ma anche la donna piena di doti e potenziale che è, diventa ciò che è destinata a diventare: la reggente della propria vita.

H2O, due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Solo così possiamo creare la vita: portando a compimento la nostra formula.

Conclusioni

• Se la scarpa in cui cerchi di infilare il piede non ti calza, o non ti calza più, non è la tua scarpa: smettila di mutilare le tue doti e il tuo potenziale pur di starci dentro!

• Se le regole che hai seguito fin qui non ti fanno partecipare della festa della vita, non sono le tue regole.

• Se non accetti di essere bruco, non puoi diventare farfalla.

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Fammi sapere nei commenti delle tue metamorfosi e dei tuoi riflessi.  Raccontami delle fiabe che ami e che ti sussurrano all’orecchio un messaggio che non riesci ancora a decifrare: magari la prossima volta parliamo di quelle.