Le paure sono figlie del desiderio

La madre delle paure rimase di nuovo incinta, pronta a dare alla luce un altro orrore, più micidiale del precedente.

Sarebbe un buon incipit per un thriller dalle ambientazioni fantastiche, se non fosse che la realtà sovente supera la fantasia, e che questa gravidanza non è detto sia sempre la gestazione di un mostro.  A meno che tu non te la voglia raccontare così.

La storia infinita della paura

Le paure hanno matrice comune, ma destini che sono loro propri.

Per questa ragione, quella della paura, è una storia che può ripetersi all’infinito e svilupparsi in trame sempre diverse, sempre più elaborate.

E per la medesima ragione, ogni nuova paura che si presenta alla nostra porta ci appare più temibile e insidiosa di quella che abbiamo appena accompagnato all’uscita o che siamo riusciti ad addomesticare.

Eppure, a conoscerle da vicino, queste paure non sono poi così originali (e a dire il vero nemmeno così temibili). La maggior parte delle volte, infatti, possiamo inserirle in due macro categorie:

1. la paura di non trovare e rimanere nello smarrimento
2. la paura di perdere qualcosa di importante e ritrovarsi mancanti

La matrice

Un bellissimo albo illustrato, What do you do with an idea?, racconta con tratti e parole di grande poesia, l’incontro di un bambino con un’idea.  Da questo incontro il bambino si domanda da dove sia venuta, perché e cosa debba farsene.

Quando incontriamo i nostri desideri la reazione è esattamente la stessa del bambino immaginato da Kobi Yamada e Mae Besom: «Cosa faccio con questo desiderio?»

I desideri rappresentano la call to action della vita e ogni chiamata è un invito alla ricerca. Tuttavia, mettersi alla ricerca di qualcosa, porta con sé il rischio: di non trovarla, di trovarla e rimanerne delusi, di trovarla e non poterla assicurare dalle minacce esterne, di trovarla e poi perderla.

La matrice delle paure è dunque il desiderio. Si dice: «Se non fa abbastanza paura, [il desiderio] non è abbastanza importante». Non sono convinta che un desiderio si misuri attraverso l’entità della paura, ma che il desiderio sia chiamato a misurarsi con la paura, dove misurarsi è usato nel tuo significato di confrontarsi, sì. Esattamente come noi tutti, prima o dopo nella vita, siamo chiamati a misurarci con i nostri genitori, le nostre radici, la storia prima della nostra. Con l’antefatto, come si dice in ambiente narrativo.

Come di manifesta

La paura di non trovare

La paura di non trovare e rimanere nello smarrimento ha radice nell’utopia: ciò che desideriamo rimane bloccato nella dimensione ideale. Non necessariamente per incapacità realizzativa, anzi!

Spesso, le personalità attanagliate da questo tipo di paura, sono capacissime di realizzare i propri desideri e, altrettanto spesso, lo fanno. Quel che accade è che alla resa dei conti non sono mai soddisfatte: «Non è il lavoro giusto», «Non è la donna/l’uomo per me», «Non è come mi aspettavo», «Non è questo che volevo».

Nella maggior parte dei casi, chi ha paura di non trovare, non è sicura, o sicuro, di cosa debba cercare.

«Qual è il mio posto nel mondo? Come dev’essere una donna/un uomo? Cosa fa chi è felice?» Questa la forma delle domande che la, o lo, abitano. Domande rivolte all’esterno, come se là fuori, da qualche parte, qualcuno o qualcosa celasse la risposta. 

E se la risposta alla domanda «Cosa faccio con questo desiderio?», è nascosta là fuori, colei o colui che teme di non trovare e rimanere nello smarrimento, è vinta, o vinto, dall’inquietudine: la ricerca si fa dunque disordinata, affannosa, e spersonalizzata.

È un desiderare per procura: «Se la maggioranza delle persone, o anche, se quella persona che ammiro più di tutte le altre, se il mio compagno/compagna fa così, allora potrei provare anche io»

La paura di perdere

La paura di perdere e ritrovarsi mancanti ha radice nella distopia: ciò che desideriamo rimane bloccato nella fortezza che ci costruiamo per tenere lontano l’imprevedibile.

Il mondo dei desideri, lo abbiamo visto in apertura, è il regno dell’aleatorio: anche muovendoci nella direzione della loro chiamata, non abbiamo alcuna certezza di come andranno le cose. Ma se chi è preda della paura di non trovare reagisce a questo timore con una ricerca matta e disperatissima di risposte, chi si lascia ghermire dalla paura di perdere risponde rifiutando qualsiasi azione, a priori.

«Meglio stare qui, con quel che conosco», si dice colei o colui che teme la perdita e la mancanza sopra ogni cosa. E non importa quanto sia povero o asfittico lo spazio in cui si muove: purché nessuno abbia mai da ridire o a pretendere qualcosa, è disposta, o disposto, a vivere nella privazione.

La sua risposta alla domanda «Cosa faccio con questo desiderio?», è: «Me lo tengo per me finché non sarò sicura (o sicuro) che nessuno al mondo, mai, possa ferirlo o portarmelo via!»

Che è un po’ come dire: aspetto che muoiano tutti, così alla fine potrò vivere liberamente. Non so come la vedi tu, ma a me pare una schiavitù.

La mistica del desiderio e le sue crociate

Quando la paura di non trovare e rimanere nello smarrimento prende il sopravvento, si rischia di restare bloccati nella contemplazione del vasto mondo dei desideri possibili. Così, ogni desiderio espresso da qualcuno la cui storia riteniamo desiderabile, diventa un territorio di conquista.

Il desiderio dell’altro come il sacro Graal: quando sarà in mano nostra, avremo finalmente l’elisir (ovvero la risposta a: «Qual è il mio posto nel mondo? Come dev’essere una donna/un uomo? Cosa fa chi è felice?»). Peccato che quell’elisir soddisfi la ricerca di risposte alle domande di qualcun altro.

Se passi da un desiderio all’altro senza mai trovare soddisfazione nelle tue conquiste, chiediti: il desiderio di chi ho realizzato questa volta?

La mortificazione del desiderio e il vampirismo

Quando la paura di perdere e ritrovarsi mancanti prende il sopravvento, si rischia di restare bloccati sul confine tra la vita e la morte, tra il bisogno di esprimere il proprio potenziale e il timore di venirne fagocitati. Così, ogni desiderio che fa capolino nella nostra storia, diventa un possibile predatore.

Il desiderio è visto come un vampiro: meglio tenerlo nelle segrete, non morto ma neppure vivo, almeno finché non troviamo qualcuno da dargli in pasto al posto nostro.

Se tendi a trattenere i tuoi desideri per il timore che ti sbranino, chiediti: quanta vita c’è in una storia che si trascina nel buio per il terrore che la luce del giorno possa illuminare le sue parti imperfette?

Sfida settimanale dell’eroe

Cosa faccio con questo desiderio? Questa è la domanda che ti invito a porti nei prossimi giorni e rilancio proponendoti di scriverci su una breve storia per l’infanzia. Sì, certo, puoi anche raccontartela a voce, ma credimi: scriverla ti servirà di più.

Quando lo farai, immagina che la tua storia andrà a finire nelle mani di una bambina, o di un bambino, e che il suo contenuto lascerà in lei, o in lui, un’impronta: una responsabilità non da ridere 😉

 


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