le emozioni e le storie che raccontano

Oggi io e te facciamo una cosa un po’ insolita: andiamo a parlare con le emozioni. Sì, hai letto bene: nessun discorso sulle emozioni, bensì un colloquio aperto e intimo con le emozioni.

Be’, non proprio tutte, altrimenti ci servirebbero giorni e giorni per questo rendez vous. Ho preso appuntamento con alcune di loro, quelle che ho pensato ci avrebbe fatto bene ascoltare in questo inizio d’anno nuovo carico di aspettative e promesse.  E per non fare preferenze di sorta, faremo il nostro giro di incontri in ordine alfabetico.

Così, insieme incontreremo:

•  Ansia, che non ha reagito benissimo alla notizia che sarebbe stata tra i primi colloqui, e ha cercato di convincermi più volte a principiare dal fondo

• Delusione, che ha avuto subito da ridire sull’organizzazione del tour perché questa faccenda che si debba, per convenzione, partire sempre dalla A non le va proprio giù

• Risentimento che ha preso sul personale il fatto di essere l’ultimo della lista, interpretandolo come l’ennesima imposizione dall’alto che lo fa sentire in balia, e vittima, di un mondo che ci gode a far banchetto del suo tempo, del suo spazio e della sua vita

E infine Amarezza, la nostra prima tappa, alla quale poco importava d’essere la prima o l’ultima, perché alla fine cosa mai avrebbe potuto cambiare nella sua vita?

Che ne dici, si va?

Amarezza

Ci accoglie con poco entusiasmo. È impacciata. Insicura. Non sa dove sia più consono farci accomodare: in salotto, più elegante e appropriato per ricevere ospiti; o in cucina, più intimo e famigliare? Alla fine lascia decidere noi. È preoccupata per l’esito della nostra visita: non ha mai molti ospiti, ci dice, e non sa bene da che parte cominciare.

Il fatto è che non ha molto da dire: la sua non è una vita entusiasmante. Avrebbe voluto fare molte più cose di quante non ne abbia fatte. E anche di quel che ha fatto non è poi così soddisfatta:

«Perché è difficile, sapete, accontentare tutti. È difficile sentirsi bene con se stessi quando non si sa con chi siamo quando siamo con noi. Certo, so di essere educata, corretta, responsabile. Ma non ho ben capito nei confronti di chi, visto che ho spesso maltrattato i miei sogni, tradito le mie passioni, abbandonato i miei progetti. Non è che non credessi in loro, ma erano sogni, passioni e progetti che non riuscivano a trovare accoglimento, conforto e appoggio dalle persone che avevo intorno. Avevano tutti un’idea molto chiara di come avrei dovuto essere, di cosa avrei dovuto fare, e come, per andar bene. Tuttavia, io non mi riconoscevo in quella me, e non ho mai avuto il coraggio di cercare una me in cui riconoscermi di più. E alla fine, anziché diventare, sono rimasta. Chi, non ne ho idea. Quel che so è che non ho accontentato nessuno e non sono felice»

Che storia ci racconta Amarezza?

Hai notato le parole che ha usato Amarezza? Sono parole che raccontano di un romanzo incompiuto.

Quando Amarezza dice, alla fine, che nonostante i suoi sforzi, non ha accontentato nessuno, tantomeno se stessa, ci dice soprattutto che per realizzare la nostra storia, e smettere di essere la bozza di un manoscritto rimasto a invecchiare in un cassetto, dobbiamo lasciare andare i giudizi, nostri e altrui, su quale sia, in senso universale, assoluto e incontrovertibile, la storia giusta da raccontare. In altre parole, dobbiamo smetterla di recitare su un soggetto scritto da altri.

Ansia

Appena entriamo, Ansia chiude velocemente la porta dietro le nostre spalle. Ha il fiato corto. Un aspetto pallido e stanco. È vestita con abiti troppo pesanti per la temperatura. E anche troppo grandi per le sue misure. Si muove nervosamente e si accende una sigaretta dopo l’altra che aspira avidamente, quasi avesse timore, rallentando, che quelle si consumino senza di lei.

Non ci aspettava così presto, dice. Non è pronta, e tra l’altro non capisce proprio a cosa possa servire questo incontro. Ha poco tempo, comunque: siamo capitati in un momentaccio.

«Non che se foste capitati ieri, o domani, sarebbe stato meglio. È che ci sono sempre troppe cose da fare. E se non le faccio subito, chissà che può accadere?! Bisogna sempre mettere in conto gli imprevisti. Domani potrei anche non riuscire a fare quel che devo fare. Non oso pensare alle conseguenze! Metterei in serio pericolo la stima e la fiducia delle persone che si aspettano da me la massima resa. È così difficile conquistarsi un po’ di credibilità, ed è un attimo perderla! E se perdessi un’occasione importante: quel treno che passa una volta nella vita? Come vivrei, dopo, sapendo di non aver fatto abbastanza per prenderlo? Mai cullarsi sugli allori: bisogna essere costantemente vigili e pronti, avere un piano B, ma anche C, D, E… Non si può cedere il passo e non ci si può concedere pause. Quanto vorrei potermi permettere una vacanza! Ma non posso, devo pensare al mio futuro»

Che storia ci racconta Ansia?

Ansia racconta una storia senza trama che pre-tende un futuro del quale non osa immaginare l’epilogo. Per questo usa il vocabolario dell’inconsistente e la grammatica della paura.

Ha da fare cose che non sono specifiche né nella forma né nella quantità. Le deve fare per un futuro non meglio identificato. Devono essere cose che servono: a conquistare qualcosa, un’opportunità stratosferica ma senza nome; o qualcuno, o meglio, la benevolenza di qualcuno – che si traduce in stima, fiducia, credibilità – soltanto perché quel qualcuno, senza volto, ruolo, cittadinanza definita, se lo aspetta. Non si concede pace perché non si permette il tempo della contemplazione del desiderio (ovvero lo stare insieme al desiderio, nello stesso spazio-tempo), che trasforma in mera voglia da placare e zittire.

Delusione

Delusione è fresca, energica, cristallina, pasionaria. Non appena iniziamo a chiacchierare ci dichiara, senza tanti giri di parole, tutto il suo disappunto: perché non abbiamo iniziato con lei? In fondo, ci tiene a dirlo, ha un sacco di cose da raccontare. E infatti lo fa con un’urgenza a dir poco prorompente:

«Per me è sempre una questione di principio: appena sento che qualcosa viene fatta in un modo solo perché si è sempre fatta così, o perché è più facile e utilitaristico farla così, mi sento tradita. E lo so che può sembrare poco diplomatico da parte mia, ma nella maggior parte delle situazioni la diplomazia è soltanto un espediente per non prendere posizione. Voglio vivere in un mondo di persone capaci di prendersi la responsabilità delle proprie scelte e delle proprie azioni. Un mondo in cui non esistano promesse infrante; in cui la comodità non corrompa l’integrità; in cui una parola sia più di un insieme di lettere e suoni, facili da rimangiarsi. E costi quel che costi, non sono disposta a cedere e rinunciare»

Che storia ci racconta Delusione?

Delusione racconta una storia di grandi credo, di discussioni sui massimi sistemi, di lotte e di rigidità. È una storia che si muove all’interno delle strette regole del genere a cui appartiene e non ammette adulterazioni o commistioni: se si è detto che è un drama, non può essere un dramedy; se si è detto che è una commedia, non c’è spazio per il tragico…

A differenza di Amarezza, ha un punto di vista su ciò che è giusto e sbagliato del tutto personale: il mondo deve essere in un certo modo, e non in un altro. Tutto ciò che non corrisponde a quella visione è una versione deludente dalla quale prendere le distanze. 

Non a caso, quando siamo profondamente delusi da qualcuno, dopo avergliene cantate quattro (a volte anche solo nella nostra testa), ce ne allontaniamo: non ha rispettato il patto, non ha fatto la sua parte, non può più far parte della nostra storia.

Risentimento

Non gli piace parlare di sé. Sia chiaro! E non gli piace nemmeno aver dovuto aspettare che arrivassimo. E non gli piacciono questo genere di visite. Che poi, che tipo di incontro è? Siamo qui per intervistarlo, studiarlo, spiarlo, o cosa?

«In troppe occasioni – racconta, ma non ricorda precisamente quante – ho aperto la mia porta a gente che alla fine mi ha fregato. Ma non succederà mai più! Non permetterò mai più a nessuno di prendermi in giro, di ferirmi, di usarmi. Per questo vivo solo e faccio il possibile per evitare il mondo. Soprattutto faccio di tutto per non fare entrare il mondo qui dentro. Ho una porta blindata, ho le sbarre alle finestre: nessuno entra, se non voglio voglio che entri. E io non voglio. Non ho nulla di prezioso, e non ci tengo ad averlo perché quando hai qualcosa di prezioso, c’è sempre qualcuno che te lo può o vuole portare via! O magari rischi di distrarti un attimo e perderlo. Non posso sopportare nemmeno l’idea della perdita. E infatti segno tutto. Vedete qui, su questo taccuino che porto sempre con me? C’è tutto quel che sono, tutto quel che mi è capitato e tutto quel che ho. Non mi serve altro per sopravvivere»

Che storia ci racconta Risentimento?

Le parole di Risentimento raccontano di una storia che non riesce a svilupparsi in una nuova trama perché continua a tessere i fili del passato.

È la strategia di Penelope che per difendersi da un futuro che non vuole, oppone la sua resistenza bloccando il più possibile il presente. Ed è esattamente ciò che fa chi, attanagliato dal risentimento – che è appunto il riproporsi incessante di una ferita, di un dolore, di una mancanza – non riuscendo a prefigurarsi un futuro, continua ad appoggiarsi al passato.

[Clicca qui se vuoi approfondire il tema della storia che si ripete]

La strategia di Penelope però, oltre a non impedire ai pretendenti il trono di depredare e gozzovigliare, non la rende fautrice del suo destino. La fa sopravvivere, certo, ma viene da domandarsi: cosa sarebbe accaduto se Ulisse non fosse mai tornato a Itaca?

Sfida settimanale dell’eroe

Questa settimana ti invito a organizzare altri incontri con le tue emozioni: ascolta cosa hanno da dirti e soprattutto come te lo dicono.

Sono piuttosto sicura che da queste chiacchierate usciranno informazioni preziose per te e per la storia che vuoi portare nel mondo. Non solo in questo 2019 (a proposito: AUGURI!!!)


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