quante volte ci sei cascata o cascato?

«E indovina? Ci sono di nuovo cascata!», mi dice F. con gli occhi tra lo smarrito e lo sconfortato. E io che cosa dovrei risponderle? Dovrei forse dirle che tutto accade per un motivo? O che evidentemente questa faccenda che le si mette tra i piedi una volta sì e una anche, non ha ancora trovato una soluzione?

Se parlo di soluzione, però, significa che entro con lei nella narrazione del cascarci = problema. Ma io non la penso così.

Dovrei semplicemente suggerirle di stare «senza pensier’», perché una caduta non è mai la fine di un viaggio, bensì il suo principio. E l’inciampo può anche essere il medesimo, ma di volta in volta abbiamo la possibilità di agire in modo diverso. Di modificare la storia.

Stare senza pensieri e trovare il modo per cambiare il finale della storia (e perché non tutti e tre gli atti?): praticamente il sogno erotico di qualsiasi adulto tra i 25 e i 60 anni. Dopo, questo almeno mi racconto – o forse mi auguro, anche per me stessa – si ha così tanto da perdere e così poco tempo per occuparsi delle inezie della vita, che si abbandona il copione e si comincia finalmente a prendersi il palco e a recitare a soggetto.

Tuttavia, mi chiedo che senso abbia aspettare di avere sempre meno tempo davanti a sé, per darsi il permesso di incominciare la stesura della storia che ci piace?

Perché arrivare a quel punto del cammin di nostra vita in cui ogni rumore di lancetta ci mette il peperoncino al… naso, prima di imparare a cucinare la miglior ricetta della nostra esistenza, utilizzando e godendo degli ingredienti che abbiamo a disposizione, o che il caso, il destino, o l’universo ci mette davanti?

Disclaimer

Prima che tu prosegua nella lettura, ti avverto: questo è un post che mi scivola via non dalle dita, ma dall’anima. E come tutte le cose che scrivo quando mi trovo in questo stato emozionale, rischio di non essere né diplomatica, né particolarmente delicata e misurata.

Se sei in un periodo di estrema vulnerabilità, se sei in conflitto con i tuoi corsi e ricorsi storici: chiudi e torna a leggere in un altro momento. Non tutto ciò che blateriamo noi che produciamo contenuti sul web deve necessariamente entrarti in casa.

Dov’era quella maledetta falla?!

Alcuni inciampi sembra ci abbiamo preso gusto a precederci nel passo. Abbiamo un bel star lì a controllare dove mettiamo i piedi: è sempre questione di un attimo, e trac!

«Ecco, ci sono di nuovo cascata/o!», diciamo scuotendo la testa. Come se quel di nuovo fosse lì per sottolineare la nostra inattitudine, o inettitudine, o sfiga, o condanna, anziché segnalarci la possibilità di fare, questa volta, tutto in modo diverso da come abbiamo fatto in passato.

⇒ «È solo una mia vecchia abitudine che torna a tormentarmi»

⇒ «È chiaramente un’inclinazione perversa che ho nel rovinarmi a vita»

⇒ «È che ho una cattiva gestione delle mie risorse»

⇒ «È che faccio sempre e solo scelte di merda!»

«Ecco cos’è!», ragioniamo, rimuginiamo, elaboriamo, e arriviamo sempre alla conclusione che gli inciampi siano l’aberrazione della vita e la caduta una mancanza di carattere e forza di volontà di cui vergognarci. O che l’errore sia l’altro, o la situazione, messi lì apposta per farci specchiare nella nostra inadeguatezza.

Ragioniamo… Parliamone. Voglio dire, ti paiono davvero pensieri formulati con il benché minimo apporto di ragionevolezza? No, perché a me paiono deliri. Il che è buffo: per uscire dal solco (de-lirare) in cui pensiamo di essere cascati, ci infiliamo in un vaneggiamento di proporzioni epiche dal finale quasi sempre drammatico.

Mi viene in mente la scena nonsense del tribunale di Alice nel Paese delle Meraviglie. «Qualche testa rotolerà!», perché alla fine qualcuno a cui insensatamente tagliare la testa, se lo si cerca, lo si trova sempre. E se non è qualcuno è qualcosa: una nuova prospettiva, un nuovo futuro, una nuova possibilità.

Una storia per pensare

Agli inizi del 1900, in Svizzera, il neurologo Éduard Claparède pensò bene di fare, in nome della scienza, che non si dica il contrario, uno scherzo a una paziente affetta da problemi di memoria a breve termine. La signora, che non riusciva a tenere in testa i ricordi per più di qualche manciata di minuti, si presentava ogni mattina nello studio del dottore senza ricordare di esserci già stata precedentemente. Così, ogni giorno, i due si ripresentavano stringendosi educatamente la mano.

Un bel dì, Éduard il burlone, decise di attaccarsi tra le dita una puntina e quando i due si diedero la mano, la paziente, smemorina ma di certo non immune al dolore, si ritrasse sofferente. Pochi minuti dopo, tuttavia, la memoria dell’incidente era già completamente scomparsa dalla mente della signora, la quale proseguì tranquilla il suo colloquio con il medico. Ma il giorno successivo, arrivata come fosse la prima volta nello studio del neurologo, al momento delle presentazioni, con uno scatto che la sorprese, tirò indietro la mano e non strinse quella del medico il quale, naturalmente, si soffermò lungamente sulla questione. La signora, incapace di ricordare l’accaduto del giorno prima, incalzata dalle domande indagatorie di Claparède, non seppe ovviamente spiegare il perché di quella ritrosia, se non adducendo risposte sempre più evasive e nervose.

La memoria è fatta di lapidi, dogmi e piedistalli

Siamo più che convinti che le nostre decisioni dipendano dalle ponderate e intelligenti riflessioni che ci impegniamo a fare sul momento. La verità è che portiamo dentro di noi tutti i residui della nostra storia –e a voler essere precisi anche tutti i rimasugli della storia evolutiva della nostra specie – e che questi residui lavorano costantemente nel nostro substrato emotivo decidendo ciò che è meglio per noi più di quanto non lo faccia la nostra neocorteccia o parte razionale. Un po’ come nel caso dell’esperimento del dottor Claparède.

La nostra memoria è fatta di lapidi, dove giacciono le persone, le occasioni e le cose perdute; di dogmi, dove abbiamo scritto tutte le regole che ci servono per non essere divorati e sopravvivere; e di piedistalli, dove abbiamo eretto a bene, buono e giusto, qualunque cosa ci permetta di evitare il dolore, la delusione, l’errore (e quindi anche l’erranza), e di rischiare, come direbbe De Gregori, «la notte, il vino e la malinconia»

Il più delle volte reagiamo in base ai dati che tiriamo fuori dai nostri tre registri di memoria. Per questo il cascarci, lungi dal rappresentare l’inizio di un viaggio fantastico, magari anche azzardato, viene vissuto come una caduta in un abisso senza possibilità di ritorno e salvezza.

Quello che i tuoi registri non ti dicono, è che puoi decidere di non cascarci di nuovo ma scegliere lasciarti cadere per esplorare una nuova prospettiva di te: un volo libero nella tana del Bianconiglio verso qualcosa di inaspettato e potenzialmente meraviglioso.

E se non sarà proprio tutto tutto meraviglioso, sarà comunque VITA, in grassetto e maiuscola: qualcosa alla quale ci stiamo lentamente disabituando. 

Prova settimanale dell’eroe

Per questa prova settimanale dell’eroe ti invito a recuperare la spontaneità. Per poterlo fare davvero, c’è bisogno che lasci andare per un attimo il controllo, che come abbiamo visto non ti salva dal cadere e per di più ti fa atterrare proprio là dove non vorresti, e che tu prenda le misure dei tuoi registri mettendoci mano e andando a scoprire cosa c’è dentro, o sopra nel caso dei piedistalli.

〉〉〉Cos’è sepolto nelle lapidi della tua memoria?

〉〉〉Cosa c’è scritto nel libro dei tuoi dogmi?

〉〉〉Cosa hai messo sul piedistallo?

Tutte le decisioni che riuscirai a prendere oltre le informazioni contenute in questi registri (non attraversare sui binari, non infilare le dita nella corrente e non leccare una lama affilata sono informazioni che puoi tenere, chiaramente. Ma immagino tu abbia chiara la differenza tra informazioni salvavita e informazioni evitavita, vero? ;)) saranno un’allenamento per recuperare il muscolo della spontaneità.

Riesci a prendere almeno una decisione spontanea questa settimana?

Stupiscimi. Anzi no: stupisciti!