Conosco persone che hanno drasticamente ridotto la quantità di sigarette fumate, pur senza smettere del tutto.
Ci sono quelli che fanno parte della società delle 3C (café ⇒ clope ⇒ caca): individui metodici che da anni si concedono quotidianamente due caffè, due sigarette e due lunghe sedute al gabinetto, rigorosamente in questo ordine.
Io sono stata quel tipo di fumatrice che fuma nevroticamente, incapace di mezze misure.
Sono stata, perché non lo sono più. Ho smesso di fumare. Di nuovo. Per la terza volta in sette anni.
Tentativo abortito #1
La prima volta ho smesso per esercizio di potere: doveva essere chiaro, alle sigarette, alla nicotina e all’orrore da attesa e tempi morti, che il capo ero io, non loro.
La prima volta che ho ricominciato, l’ho fatto per presunzione: l’aver smesso di fumare di punto in bianco, senza nemmeno troppo sforzo nonostante i 20 anni di tabagismo precedenti, mi aveva mandata in loop d’autostima.
Dopo due anni senza sigarette, ero più che convinta che sarei stata capace di gestire una sfumacchiata ogni tanto senza ricadere nella dipendenza.
SBAGLIAVO.
Tentativo abortito #2
La seconda volta ho smesso di fumare per reazione a un momento in cui stavano succedendo cose intorno a me sulle quali non potevo nulla.
Pur consapevole non v’era nulla che potessi fare per quelle cose specifiche, avevo comunque bisogno di fare qualcosa. Possibilmente di grande. Di nobile. Di buono. Smettere di fumare mi parve soddisfare tutti e tre i criteri, e lo feci.
Ho ripreso a fumare esattamente un anno dopo, peraltro in un contesto del tutto simile a quello nel quale avevo deciso di smettere, perché quando si fa una scelta tanto per fare, e non perché di fondo ci sia un disegno, uno scopo, una motivazione interna forte, è altamente improbabile che di quella scelta avremo cura e rispetto nel tempo.
Non si fallisce mai abbastanza
Con due tentativi miseramente falliti alle spalle è difficile trovare la fiducia per riprovarci. E questa è una parte di verità.
C’è però un’altra parte di verità che dice quanto sia altrettanto difficile che, a un terzo tentativo, mi possa di nuovo far fregare dalla presunzione dell’esordiente, o dall’irrequietudine dell’erratico.
Certo, una parte di verità quest’ultima che non vaticina garanzie di successo, né esclude che ricada per altri inciampi. Tuttavia, io credo che per le cose che contano non si fallisca mai abbastanza.
O in altri termini: credo che per le cose che contano valga la pena fallire ogni volta che serve.
Facciamo un tagliando alle cose che contano
Mettiamo che fino a ieri non hai mai fatto la raccolta differenziata dei tuoi rifiuti. Oppure l’hai fatta, ma non sempre bene e con costanza.
Tutto ciò fa di te una persona incapace di comportamenti ecologici da qui all’eternità? O ti legittima, per comprovata inettitudine, a continuare a fare quel che hai sempre fatto, pur sapendo che non farà bene né alla tua salute, né al tuo portafogli?
Supponiamo invece che negli ultimi dieci anni tu abbia mangiato di merda: solo precotti, surgelati e pronti in scatola. Hai preso peso, ti si è alzato il colesterolo, hai qualche problema di troppo con la digestione.
In questo quadro poco edificante, hai provato più e più volte a metterti di buzzo buono e a preparare il menù settimanale, a comprare la verdura fresca al mercato, a cucinare. Alla fine però 4 salti in padella erano meno faticosi di 10 passaggi in cucina, e…
E quindi, siccome hai fallito non una, bensì due, tre, cinque, cinquanta volte, tanto vale mollare no? Cioè, uno a un certo punto si deve arrendere!
Deve? Bah, non saprei. Non ho una risposta buona per tutti in canna. In compenso ho un paio di domande:
• qual è lo scopo nel dare più importanza all’errore di ieri che non alla redenzione di domani?
• chi, o cosa, stabilisce con tanta sicurezza la gerarchia tra le esperienze che afferma che vale di più ciò che è stato rispetto a ciò che potrebbe essere?
Play it again, Sam!
Dopo aver fallito un’impresa, è molto più facile elencare per quanti e quali motivi abbia più senso non provarci più, che non trovare una sola buona ragione per ritentare.
Il passato è un fornitore mai sprovvisto di memento e dissuasori.
Va da sé che se il tuo scopo è rialzarti da un inciampo, riprendere la corsa e arrivare al traguardo, non è in compagnia dello Spirito del Passato che troverai le esortazioni e gli incitamenti che ti aiuteranno a farlo.
E fossi in te, non farei troppo affidamento nemmeno sullo Spirito del Presente: ha un raggio d’azione troppo circoscritto e un campo visivo troppo limitato, e spesso eccede in indulgenza e ci lascia a terra più di quanto non ci occorra restare per riprendere fiato e forze.
Il tuo alleato perfetto quando devi rimontare in sella dopo essere caduto – e riprovare a smettere di fumare per la terza (quarta, quinta, o decima) volta; o a riprendere a scrivere, correre, danzare dopo un lungo periodo di fermo; o a rimetterti in gioco professionalmente a seguito di un licenziamento o di un progetto sfumato – è lo Spirito del Futuro.
Perché il mio (fino a qualche giorno fa) presente di fumatrice era il futuro di quella ragazzina che si è accesa la sigaretta per la prima volta a 15 anni, e di quella trentacinquenne che lo ha fatto per la prima volta una seconda volta, e di quella trentanovenne che ci è cascata per la terza.
E per la stessa logica, il tuo presente di non scrittrice/scrittore era il futuro di quel/la te che ha smesso di scrivere le nuove storie che le fiorivano in testa perché non aveva ancora finito il vecchio romanzo.
Tanto quanto il tuo presente di professionista in panne era il futuro di quel/la te che ha perso il contatto con la visione d’insieme e con la sua priorità.
Come vuoi che sia il tuo futuro?
Io voglio che il mio futuro sia in salute. Voglio che sia libero. Voglio che profumi di bucato e di fresco, non di cenere stantia.
E se so cosa voglio per il mio futuro posso cadere altre volte, ma troverò sempre una buona ragione per rialzarmi.
E non solo per la me di oggi, ma anche per la ragazzina di 15 anni che non merita di sentirsi in colpa per sempre per aver fatto una scelta sciocca. Per la me di 35 anni che non deve vergognarsi di aver ceduto alle lusinghe della presunzione. Per la me di 39 anni, vulnerabile agli imprevisti nonostante l’esperienza, ma non per questo deprecabile o meritevole di biasimo.
Occuparsi del proprio futuro, non arrendersi quando pare che non vi sia speranza di redenzione, fa questo: riconcilia con il passato e spesso lo cambia in meglio.
E tu, come vuoi che sia il tuo futuro?
Prova settimanale dell’eroe
Per quale scelta che farai oggi, la/il tu di domani (e per domani intendo tra almeno vent’anni) ti ringrazierà moltissimo?