Vi sono molte parole la cui origine rimane incerta. Una di queste è triste. Alcuni vocabolari etimologici la fanno risalire al latino tèrere, che significa consumato, logorato, usurato.

Usiamo, non a caso, locuzioni come: «Mi sento uno straccio» per dare l’idea di quanto una situazione ci abbia frustato l’anima; o «consumato dal dolore» per descrivere qualcuno che ha dato fondo a ogni energia per sopravvivere a qualcosa che gli ha creato una profonda sofferenza.

Raramente, colloquiando, dichiariamo apertamente d’essere tristi. Se lo siamo davvero, intendo. Perché la moda di usare a sproposito e decontestualizzare parole fino a svuotarle non risparmia nessun lemma.

Tristezza e vulnerabilità

La tristezza, quella vera, sembra diventata un sentimento inaccettabile. Perché ci rende vulnerabili. Anche quando non è la nostra. Per questo tendiamo a negarla, camuffarla, rifuggirla. E i modi per farlo sono molteplici persino in letteratura.

Mi viene in mente, per esempio, uno straziato Amleto che dopo aver perduto da poco l’amato padre viene redarguito dal nuovo Re e dalla Regina sua madre:

RE
Come mai ancora queste nuvole su di te?

AMLETO
No signor mio, sono fin troppo al sole.

REGINA
Mio buon Amleto, togliti quel colore notturno
e guarda il re danese con occhio amico.
Non cercare per sempre a ciglia basse
il tuo nobile padre nella polvere.
Lo sai, è comune a tutti: chi vive deve morire,
la natura è un passaggio verso l’eternità.

È la natura umana, dice Gertrude ad Amleto: non diamo tutta questa importanza a qualcosa di così comune come la morte per chi ha avuto una vita. Che è come dire basta alla tristezza, la quale però non esce dalle porte del castello solo perché nessuno la vuole intorno. Al contrario: rimane ad ammantare ogni stanza, ad appesantire le anime, a rivendicare altre vite.

AMLETO
O Dio! Dio!
Come mi sembrano pesanti, vecchie, noiose
e inutili tutte le occasioni del mondo!

Quando la tristezza non ha un’origine chiara

Vi sono tristezze originatesi chissà quando e chissà dove nello spazio tempo, che hanno agguantato intere famiglie e intere generazioni. Chi è cresciuto in una famiglia conquistata dalla tristezza, sa quanto questa sia affamata di vita e vitalità, tanto da suggerla via, un giorno alla volta, da ogni membro del clan.

Per una madre triste (ovvero consumata, logorata e usurata se accreditiamo anche noi la radice che più delle altre mette d’accordo i linguisti), il mondo fuori non è altro che un tritacarne pronto a fare hamburger di lei e della sua prole.

Per un padre triste, il mondo fuori è un nemico troppo forte da battere che lo lascerà sconfitto nel suo ruolo di difensore e protettore del clan. E queste sensazioni non possono che generare un altro sentimento erosivo: l’ansia.

Ansia, figlia del dubbio cosmico, nipote della paura dell’ignoto, imparentata, in ultima istanza, con qualunque cosa abbia zero o meno possibilità di essere verificata. La bastardella che toglie il fiato e la gioia di fronte a quella cosa meravigliosa che è il mistero che ci stupisce e ci sorprende e non ci rende pesanti, o vecchie, o noiose, o inutili le cose del mondo.

Crescere in una famiglia ansia e tristezza porta spesso a sviluppare sentimenti di ansia e tristezza cronici difficili, ma non impossibili, da individuare.

Un breve auto-test

Senza la pretesa di darti uno strumento diagnostico degno di questo termine, ma con la solita intenzione di gettare nel terreno fertile della tua mente il sempre fecondo seme della domanda, ti chiedo:

quante volte, di fronte a eventi concreti e specifici come un esame, un colloquio, un incontro di lavoro, un appuntamento, ti trovi a pensare, e dire, che non sei all’altezza? Che tanto non andrà bene? Che non potrai mai convincere nessuno del valore tuo o di una tua proposta? Che non sei pronta, o pronto? Che non ce la puoi fare?

Se la tua risposta varia da «tutte» a «la maggior parte delle volte», passa allo stesso scanner le reazioni dei tuoi genitori per primi, e poi anche di zii e nonni, a questo stesso tipo di eventi: riconosci un copione?

Niente è perduto se non ti perdi

Che fare se ti accorgi di essere incastrato in una situazione di ansia e tristezza croniche?

Accogli ⇒ tanto la tristezza quando l’ansia sono parte del corredo umano, è impossibile sbarazzarsene. Diventa un ospite gentile e accoglili come farebbe un albergatore avveduto. Assegna loro una stanza ben precisa e preoccupati di mettere in chiaro i termini dell’ospitalità e le regole di check in e check out: dopotutto sono pur sempre a casa tua e stabilire la durata della visita mi pare il minimo della convivenza civile, non credi?

Allena la tua resilienza ⇒ la ansia e la tristezza nel mondo sono inesauribili, non pensare mai di aver avuto con loro l’ultimo appuntamento. Mantieni allenata la tua capacità di riprenderti dall’urto e dall’erosione. Ricordati che ciò che temevi ieri è quella cosa che in questo momento puoi chiamare oggi. E oggi sei qui a leggere questo blog post: non può essere una giornata così terrificante.

Tieni la giusta distanza ⇒ se hai preso consapevolezza di essere cresciuta, o cresciuto, in una famiglia ansia e tristezza, impara a prenderti il tuo spazio e a non sintonizzarti con quelle frequenze per eccesso di fedeltà e amore. Qualunque eccesso, anche il più benintenzionato, non può che creare squilibrio e confusione di ruoli e responsabilità.

Non liquidarenon liquidare i tuoi sentimenti o i sentimenti delle persone che ti sono vicine con un «sono fatta/o così», «è fatto/a così». Puoi combattere esclusivamente le tue battaglie e puoi essere un buon alleato per le battaglie degli altri solo quando impari a riconoscere e ad avere rispetto dei sentimenti in cui ti imbatti. Se ritieni che i tuoi livelli di ansia e tristezza siano arrivati a un passo dal farti tracollare, chiedi aiuto competente. Se i livelli di ansia e tristezza di qualcuno che ami sono arrivati a un passo dal farlo/a tracollare, suggerisci di chiedere aiuto e agisci con empatia. Attenta però, o attento, a non confondere l’empatia con lo spirito del salvatore: salvare, guarire, curare non è un tuo compito. A meno che tu non sia un/a professionista competente in una di queste attività 😉

Pratica il coraggio ⇒ se sei triste e ansioso, non camuffare quel sentimento con altri che trovano più accoglimento solo perché hai paura di disturbare o di passare per mammoletta. Sei triste, non stanca o stanco. Sei ansioso, non un po’ stressata o stressato. Parlane. Confrontati. E, scusa se mi ripeto ma è importante, chiedi aiuto se pensi di non farcela da sola o da solo. L’aiuto, chiesto e proposto, dato e ricevuto, è ciò che ci fa restare umani. Proposto, non imposto. Chiesto, non preteso.

Sfida settimanale dell’eroe

Crea o scegli un tuo talismano anti ansia e tristezza. Puoi farlo a partire da qualunque materiale e anche se non hai alcuna vena artistica. Puoi raccogliere una pietra in un posto che ti dà pace e serenità e affidarle questo compito. Porta il tuo talismano con te, sempre.

No, non sono ammattita e non sono improvvisamente scivolata in una deriva mistico-esoterica, ma come sostiene Campbell la nostra vita è intrisa di mito e nel mito non manca mai un oggetto magico e salvifico che ci ricordi che il potere di rimettere in ordine le cose che ci riguardano ce lo possiamo andare a prendere in qualunque momento della vita. Anzi, spesso già lo abbiamo: è in una tasca della nostra anima.

 


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