Ho passato notti intere a navigare mari, cieli e galassie inventate e ad attraversare mondi fantachimerici sfidando, insieme a draghi, orchi ed eserciti del male, pure il sonno e la sveglia all’alba. E non soltanto da ragazzina, lo confesso.
Ho vivida in mente la sequenza di una riunione di redazione in cui, ancora preda delle emozioni suscitatemi dalla lettura notturna di Cloud Atlas, proposi idee visionarie e probabilmente fighissime se avessimo potuto disporre di un budget hollywoodiano per le produzioni.
Così come ricordo come fosse accaduto cinque minuti fa, quale scossa elettrica fu la scoperta, del tutto casuale, di Tolkien e dei suoi Hobbit, fate, gnomi, orchi…
La mia relazione con un certo tipo di storie e di epica è sempre stata appassionata e totalizzante.
O probabilmente dovrei dire, in modo più corretto, che la mia relazione con le storie, e l’epica di cui non possono proprio fare a meno, è sempre stata appassionata e totalizzante.
L’epica del Viaggio dell’Eroe
Di fatto l’epica non è un’esclusiva di epopee e saghe fantasy, fantastiche o fantascientifiche.
Prendi per esempio Little miss Sunshine. La storia di Olive, settenne con il sogno di partecipare a un concorso di bellezza per aspiranti Miss America, è una piccola Odissea, dunque una storia epica.
E anche la nostra storia – la mia, la tua, quella dell’umanità – è una storia epica.
Epica, infatti, è qualunque storia racconti di qualcuno che cerchi di fare qualcosa di significativo e di come questo qualcuno, nel mettersi alla prova, inneschi un processo di trasformazione del sé e del mondo.
Lo studioso di miti e religioni Joseph Campbell, ha codificato quest’epica della trasformazione in una sorta di schema mitico e universale, che ha poi definito Viaggio dell’eroe e che possiamo riassumere in quattro movimenti essenziali.
1. Appello
L’eroe/eroina sente – o riceve – una chiamata all’avventura; si tratta di un vero e proprio appello ad agire che può arrivare dall’intimo (una spinta emotiva, etica, morale a cambiare qualcosa di sé o del circostante), o giungere dall’esterno (una crisi del mercato, per esempio, può costringere a rivalutare le scelte professionali/lavorative; una proposta allettante può rimescolare le carte delle nostre abitudini; un evento speciale o traumatico può farci mettere in discussione i valori e gli obiettivi).
2. Cambiamento
L’eroe/eroina risponde all’appello; può farlo in modo più o meno riluttante, ma dal momento in cui lo fa inizia il suo percorso di prove e sfide attraverso le quali prende consapevolezza di sé, di quel che ha, di quel che le – o gli –manca, spesso di quel che non ha mai osato desiderare.
3. Trasformazione
L’eroe/eroina affronta una prova finale che lo/la mette in una situazione di muta; è la prova più dura e dolorosa, quella che lo/la costringe a spogliarsi delle ultime maschere, a distruggersi e rigenerarsi, a morire e risorgere più forte e saggio/saggia i prima.
4. Ritorno
L’eroe/eroina ritorna a casa con il sapere, la forza e la saggezza che gli o le saranno utili per cambiare il suo mondo.
Il tuo Viaggio dell’eroe
Se passi la tua vita tra le quattro maglie di questo setaccio, ti accorgerai che anche la tua storia personale ha funzionato e funziona con il medesimo schema. Questo perché, pur senza raccontare la stessa vicenda, tutte le storie sono la stessa storia. A cambiare, a rendere cioè unica ogni narrazione, sono i termini del racconto, ovvero: come gli attori agiscono le storie, come vivono i movimenti trasformazionali, come – insomma – interpretano la propria versione del viaggio.
Il viaggio dell’eroe – e dell’eroina, chiaro – ha dunque a che fare con la tua vita; e poiché qualunque tua trasformazione ha inevitabilmente un effetto sul mondo che ti circonda – sulla cerchia ristretta, certo, ma non necessariamente soltanto su quella –, ha a che fare altresì con la vita degli altri.
Ciò significa che rifiutare l’appello, non rispondere alla chiamata, nascondere la testa sotto la sabbia fingendo che vada tutto benissimo*, non è dunque qualcosa che priverà soltanto te di una vita più consapevole, appagante e colma di bellezza, ma una scelta che in qualche modo ricadrà sul mondo e sulla collettività, o se preferisci ragionare in termini più dimensionati, sul tuo entourage, sul tuo ambiente di riferimento.
[*a proposito del «va bene, ma bene non va», ti invito a leggere un’intervista, un po’ datata ma sempre interessante, allo psichiatra Vittorino Andreoli]
Se non senti la chiamata
Se non senti la chiamata, zittisci il rumore di fondo e torna ad ascoltare meglio
Qualunque sogno, qualunque visione del mondo, qualunque dono tu abbia, è la risonanza di quella voce. I tuoi obiettivi lo sono. E lo sono anche la tua approvazione e la tua disapprovazione, la tua ammirazione e la tua indignazione.
Tendi l’orecchio alla melodia del tuo invito al viaggio, segui il ritmo del tuo appello all’azione: che suono ha?
- Ha il suono di un grande progetto sociale?
- Di un nuovo obiettivo economico?
- Di un sano desiderio di star bene, o meglio, fisicamente?
- Di un magico viaggio esotico?
Ascolta bene:
cosa ti sta chiamando?
cos'è che conta per te?
cos'è significativo?
Prova settimanale dell’eroe
Se proprio non riesci ad abbassare il volume delle resistenze, delle paure, delle reticenze e delle credenze autosabotanti, ho un esercizio divertente che fa al caso tuo e che ti aiuterà a cambiare punto di vista, e quindi anche punto di ascolto.
Ogni giorno, a cominciare da questa sera, trascrivi su un diario, o un quaderno, le tue imprese quotidiane.
La regola numero uno è che non devi farlo in prima persona, bensì usare la terza, come fossi una voce fuori campo totalmente esterna alla vicenda (hai presente il narratore esterno di Amélie? Ecco.).
La regola numero due, che però non è una regola quanto più una suggestione: fallo con lo stile che più ti piace.
Non solo, divertiti a cambiare stile a seconda dell’umore, delle situazioni, del tono di voce delle tue imprese quotidiane: la giornata è stata un susseguirsi di suspence e colpi di scena? Perché non raccontarla per sequenze di azioni come fosse un breve giallo?
Il mio invito al viaggio te l’ho fatto. Se vuoi coinvolgermi, sai che non mi tiro indietro: hai questo spazio (nei commenti), una pagina Facebook in cui venirmi a trovare, un indirizzo email al quale scrivermi.