C’era una volta, e c’è ancora, una strana vecchia dotata di grandi poteri.
Anzi, per la verità ce n’è più d’una anche se a noi piace chiamarle tutte con lo stesso nome, ma facciamo che ce ne sia una sola e che tutti la chiamino: baba yaga.

E poi facciamo che questa baba yaga viva nelle terre dell’Est, muovendosi tra Urali, Carpazi e Balcani, e facendo di boschi e lande disabitate il posto perfetto per far accovacciare la sua casa.

Accovacciare, sì, hai letto proprio bene: perché se la vecchia è bizzarra, la sua casa inquietante e dispettosa le fa da eco.

La casa della baba yaga

La casa della baba yaga è una tipica izba contadina: una costruzione di tronchi, piuttosto semplice e spoglia, particolarmente diffusa nelle campagne del nord della Russia e della Scandinavia.

A differenza di una qualunque izba, quella della baba yaga ha maniglie fatte di scheletro, la serratura è un morso pieno di denti aguzzi e affilati come rasoi, e tutt’intorno è protetta da uno steccato di pali su cui è infilata una lampada di teschio umano.

Solo un palo di questo steccato è sempre vuoto: un piccolo promemoria di mortalità, o se preferisci un memento mori, per fare in modo che chiunque si trovi a capitare da quelle parti non abbia mai a dimenticarsi che la vita è breve e fragile, e la prossima testa a finire a far da lampara alla staccionata potrebbe essere proprio la sua.

Una casa sinistra, viva, incantata e dispettosa, dunque, al punto da girare su se stessa per celare la porta d’ingresso ai mortali che vi giungano; e che si sposta di luogo in luogo per non rendersi rintracciabile o disponibile con troppa facilità. E tutto ciò, grazie alle due zampe di gallina, in certe tradizioni soltanto una, su cui poggia.

Diceva Buñuel di galli e galline: «Una creatura che può volare ma decide di farsi sottomettere non mi ispira alcuna fiducia».

Alla baba yaga, invece, non ispirano alcuna fiducia i pretenziosi, gli arroganti, gli immodesti e i prepotenti. Eppure, anche per loro, ha sempre in serbo un dono: certo, non è detto che sia esattamente il dono più atteso.

Nel nome della strega

Lo avrai notato nelle righe precedenti: baba yaga è scritto sempre in minuscolo, come lo si trova scritto tradizionalemente.

E poiché le parole sono il primo ponte verso la comprensione del mondo, viene da pensare che quelle due parole, messe lì così, vogliano dirci che baba yaga non è il nome proprio di qualcuno, ma l’espressione di un fenomeno, l’indicazione che qualcosa è accaduto e qualcos’altro sta per accadere.

Sono andata a caccia delle origini del nome ed è stata una battuta davvero impegnativa.

Quel che ho scoperto è che pare che yaga derivi dal verbo yagatj (leggasi iàghiàtch), che significa essere arrabbiati, oppure sgridare qualcuno.

Ed è anche una sorta di epiteto per:
• simile a un serpente
• ancestrale
• abitante della foresta

Baba invece pare voglia dire vecchia, ma anche strega. In origine, semplicemente contadina sposata e in età fertile.

Ma intorno alla radice di questa parola c’è molto di più. C’è babka, per esempio, che significa ostetrica; c’è baboshka, vezzeggiativo per nonnetta, e cambiando una sola consonante abbiamo babochka, che significa farfalla.

Narra un’antica credenza che quando una persona muore, l’anima del defunto lasci il corpo sotto forma di farfalla. E stando a un’altra vecchia credenza popolare: quando vola una farfalla si pensa sia l’anima di una nonna in viaggio.
Se poi vogliamo giocare un altro po’ con le associazioni, possiamo passare dal russo al greco, dove la parola per farfalla è psyché, che significa anche anima.

Una figura, quella della baba yaga, davvero ricca e complessa che parte dalla mitologia e approda a leggende popolari, fiabe, filastrocche, saggi, romanzi per grandi e piccini, film.

Chi è la baba yaga, e cosa può fare per te?

Ossuta ma di dimensioni prodigiose, tanto che quando si stende tiene tutta la diagonale di una grande stanza.

Naso adunco e mento uncinato. Rugosa. Bitorzoluta. Con capelli lunghi e parecchio unti.

La baba yaga è una strega, anzi LA strega dell’Est, ma è anche un’orchessa, una sorta di fauno o spirito della natura, una traghettatrice di anime.

È quel che resta nei ricordi dei mortali di Mara, l’antica dea slava a presidio del ponte che collega il mondo di sopra e il mondo di sotto. 

Una guardiana di cancelli e di terre di mezzo, che sovrintende il confine tra la vita e la morte affinché alcuni possano attraversarlo indenni e tornare a casa vivi ma in possesso di una nuova saggezza, e altri possano passarlo e rinascere in un nuovo stato.

Figura ora benevola, ora ambigua e malevola, la baba yaga incarna perfettamente il ruolo di guardiana della soglia la cui funzione nella storia può essere di volta in volta bloccare l’azione dell’eroina o dell’eroe, o metterne alla prova la volontà, le intenzioni, il valore e il merito affinché procedano con i giusti strumenti nel proprio viaggio epico.

E siccome ogni viaggio epico comincia con una domanda epica, la baba yaga, come prima cosa, interroga i suoi eroi e le sue eroine.

Il primo dono della baba yaga alla tua storia: la consapevolezza

Il primo dono della baba yaga alla tua storia ha a che fare con la consapevolezza.

Non esiste storia che non sia mossa da una ragione, da uno scopo, da un(a) fine. Tuttavia per uno stesso scopo, ragione o fine, esistono possibilità di trama del tutto diverse a seconda delle intenzioni che noi, in quanto autori della nostra storia straordinaria, impostiamo e predisponiamo all’inizio di ogni capitolo o volume della saga che ci fa racconto agito nel mondo.

Se in questo momento della vita ti trovi in quella terra di mezzo tra una versione e l’altra di te e della tua storia, fermati un secondo e prova a rispondere alle prime tre domande che la strega è solita porre ai suoi visitatori e ospiti: 

• vai cercando qualcosa o stai fuggendo da qualcosa?

• sei qui perché vuoi fare qualcosa o perché hai fatto qualcosa?

• sei qui di tua spontanea volontà, o per per costrizione?

Lo strano modo della baba yaga di proteggere la tua storia

Nelle fiabe classiche è quasi sempre facile distinguere i buoni dai cattivi.

Se dico lupo, pensi probabilmente a Cappuccetto Rosso e pensi “cattivo”.
Se dico matrigna forse pensi a Cenerentola o a Biancaneve, e anche qui, viste con gli occhi di un bambino o di una bambina, è semplice: sono due improbabili figure materne, due genitori acquisiti disfunzionali, due vere stronze.

Ma se dico baba yaga, per quanto spaventoso possa essere il suo aspetto e spettrale la sua casa, si fa fatica a stabilire quanto questa figura orrorifica sia per sua natura buona o cattiva.

Nelle tante storie del folklore slavo in cui incappiamo in una baba yaga, ci accorgiamo presto che le vecchie gambe d’osso son tutto fuorché intellegibili.
Ora generose e accoglienti, ora gratuitamente maligne e opportuniste, queste nonnette del mondo di mezzo non si lasciano acchiappare facilmente. Al massimo, a volte, gabbare.

Tuttavia, anche quando vengono gabbate, magari a causa delle loro stesse intenzioni maligne verso la malcapitata o il malcapitato turno, si ha quasi l’impressione che pure quell’epilogo sia in verità un disegno della strega.

Come in quel racconto in cui una delle tante fanciulle in fuga da una baba yaga che non vede l’ora di papparsela a colazione, nel fuggire, grazie a una serie di oggetti magici reperiti – pensa un po’! – proprio a casa della strega, crea prima una catena montuosa, poi una foresta e infine un lago. In pratica un intero nuovo mondo.

Il secondo dono della baba yaga alla tua storia: la paura

Prova a pensarci: cos’altro potrebbe volere per noi il nostro più grande fan, il migliore dei nostri maestri, il più amorevole dei nostri mentori, se non vederci attivi e fecondi, capaci di creare qualcosa di straordinario?

Certo, magari le baba yaga non usano metodi sempre gentili o ortodossi, eppure, anche quando pare siano sul punto di fare del nostro cranio l’ennesima lampara appesa allo steccato di ossa e teschi che circonda le loro case mobili, sembra proprio che ciò che fanno davvero sia proteggere la nostra storia eroica. La missione della nostra anima. Il geist creativo e vivificante che portiamo dentro.

Cosa potrebbe aiutarti a realizzare la tua paura più terrificante se le concedessi di farsi opportunità?

Il potere servito su un piatto d’argento

Vorrei avere il metabolismo di una baba yaga. Sì, perché a vederle così, tutte pelle e ossa, si direbbe che le poverine facciano la fame là in mezzo ai boschi dove stanno. E invece, babushki nostre, mangiano ciascuna quanto tutta l’armata rossa al termine di un mese di digiuno.

Fortunelle!

Sono tantissimi gli elementi legati al cibo, alla cucina, e dunque al nutrimento, che ricorrono nei racconti con protagonista una o più baba yaga.

A partire dal bizzarro mezzo di locomozione usato da queste streghe: un grosso mortaio con un pestello a mo’ di timone.

Le streghe a cui siamo abituati qui cavalcano per lo più scope, o usano incantesimi di spostamento per apparire e scomparire là dove serve, o dove vogliono. Ma le baba yaga sono streghe fortemente legate alla cultura contadina da cui provengono. E per l’ancestrale cultura contadina slava, un mortaio in mani sapienti era di certo il più magico tra gli oggetti da avere in casa visto che lo si poteva usare sia per spezzare il grano che per cuocere al forno, sia per sminuzzare spezie da usare in cucina che per preparare erbe a uso medicamentoso.

E se pure volessimo tralasciare il locomortaio stregato, non potrebbero comunque sfuggirci tutti gli altri riferimenti a pentoloni sul fuoco, forni accesi, tavole imbandite di carni, zuppe, frutta e ogni altro ben di dio.

Nonostante l’aspetto esteriore delle loro izba, le case delle baba yaga sono piene di ricchezze commestibili che possono scegliere di condividere generosamente con ospiti e visitatori meritevoli.

E a ospiti e visitatori di qualsivoglia stirpe o rango, spesso le baba yaga chiedono persino di cucinare per loro.

Di primo acchito potrebbe sembrare una mera richiesta di sottomissione, e in parte probabilmente lo è visto che alle baba yaga piacciono, e sono più predisposte ad aiutare, le persone umili.

D’altra parte però, essere streghe e permettere a qualcuno di armeggiare con il nostro mortaio, i nostri pentoloni, i nostri fuochi e la nostra dispensa, che sono pur sempre strumenti e beni stregati, significa concedergli prima di tutto grande fiducia, e poi anche grande potere.

Il terzo dono della baba yaga alla tua storia: il potere di scegliere


«Ecco mortale, ti metto a disposizione la mia intera dispensa: puoi usarla per prenderti cura di me, o puoi usarla per avvelenarmi, e persino uccidermi. Fai la tua mossa e nutri la tua storia»

Sì, perché è di questo che si nutrono le storie: di possibilità, di scelte e di azioni.
E questo una strega lo sa, e una buona strega trova il modo di farlo sapere anche al suo eroe e alla sua eroina. 

Eccolo qui, dunque, l’ultimo dono della strega alla tua storia: la vita che hai davanti a te, con tutta un’intera dispensa di possibilità.
Puoi usare ciò che vi troverai per prenderti cura della tua storia e nutrirla, oppure per avvelenarla e persino ucciderla. A te la scelta. 

 


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