Nel 2006 la ricercatrice Sonja Lyubomirsky e il suo collega Kenneth Sheldon hanno pubblicato sulla rivista accademica Journal of Happiness Studies un interessante studio dal titolo Achieving Sustainable Gains in Happiness: Change Your Actions, not Your Circumstances, che tradotto potrebbe essere più o meno così: Ottenere un guadagno sostenibile in termini di felicità: cambiare azioni, non circostanze (lo trovi qui).
Cambiare azioni, non circostanze!
Suona come un proclama. O un mantra. Quantomeno come un invito.
Almeno per me che ho deciso di scriverlo su un post it e piazzarlo sulla fascia esterna che incornicia il monitor del mio laptop così da ritrovarlo ogni mattina: un promemoria per la giornata.
Perché se è vero che negli anni sono molto migliorata dal punto di vista dell’agire sensatamente (che per quanto mi riguarda significa soprattutto agire verso, con un direzione ben precisa), la tendenza, se non presto sufficiente attenzione, è ancora un po’ quella propria di ogni sapiens mediamente agiato e al sicuro: scivolare nel secondo periodo dopo la virgola, e nel tentativo di cambiare in meglio, finire per cambiare unicamente le circostanze intorno.
Città, casa, obiettivi e persino i fidanzati.
È difficile che nel vagare circostanziale in cerca di quel “grande boh” che possa fare la differenza tra una vita per lo più irrequieta e insoddisfatta e una vita appagante e felice, si salvi qualcosa.
Spesso nemmeno le famiglie d’origine. Anzi sono loro, le madri e i padri, i primi a venire travolti dal cambio di circostanze.
Si dà il caso, infatti, che una volta fuori casa, lontani dal focolare genitoriale e dal calore travolgente e quasi soffocante delle sue fiamme ardenti di obblighi, verità e doveri, le circostanze ci portino a non dover più seguire le regole del grande patriarca e della grande matriarca.
Liberati, forse, ma non ancora liberi; poiché rimane pur sempre l’increscioso intoppo di non aver altre regole – nuove, ragionate, strategiche – né da opporre né da seguire.
Ed è così che finiamo spesso col rimanere figli tardolescenti ben oltre l’età dei brufoli, degli ormoni impazziti, e del «non sarò mai come (volete) voi» eretto a filosofia di vita.
Cambiamenti circostanziali, appunto.
Quelli che Lyubomirsky e Sheldon descrivono come variazioni relativamente importanti delle circostanze generali: come un trasferimento, un trasloco, una vincita al Lotto, l’acquisto di una nuova auto…
Del tutto diversi dai cambiamenti intenzionali.
Diversi per forma e per coinvolgimento poiché i cambiamenti intenzionali richiedono impegno, costanza e qualche volta anche uno sforzo vero e proprio focalizzato al raggiungimento di un obiettivo: come avviare un’attività; cambiare lavoro; iscriversi all’università per poter partecipare a una serie di concorsi e aprirsi nuove prospettive di carriera; perdere o prendere 10 kg per stare meglio, di salute ma anche soltanto guardandosi allo specchio.
E sono esattamente l’impegno, la costanza e lo sforzo profusi a renderli sostenibili, vale a dirsi ecologici, durevoli, stabili e redditizi.
Ma com’è che i cambiamenti intenzionali sono più efficaci?
Sempre secondo le ricerche condotte da Lyubomirsky e Sheldon, ciò che rende poco efficaci i cambiamenti circostanziali è il loro essere inevitabilmente esposti all’assuefazione edonistica.
Una particolare tipologia di assuefazione che deriva dalla tendenza prettamente sapiens a trarre enorme piacere da qualsivoglia esperienza nuova e positiva e a stancarsi in fretta delle esperienze ripetitive.
Tendenza che spiega, per esempio, la faccenda delle ‘prime volte che non si scordano mai’; o lo strano fenomeno di quando entriamo in una caffetteria e veniamo travolti e inebriati dagli effluvi del caffè, ma dopo pochi istanti al bancone non siamo più in grado di sentirne la fragranza con il medesimo nitore.
O che rivela come mai, alla decima rosa lasciata sul parabrezza da un misterioso spasimante, non solo il cuore non saltella più come un ballerino di tip tap, ma i mancati progressi nell’atto del corteggiamento principiano a sortire un effetto combinato di noia e disinteresse. Quando non di disagio bell’e buono.
Mi si è incagliato il neurone sull’assuefazione edonistica.
Così ho cominciato a immaginare cosa accadrà dopo questa quarantena che ci sta facendo riscoprire la gioia di una vita dai tempi più umani e distesi; la ricchezza delle relazioni che spesso diamo per scontate; l’urgenza di politiche sociali innovative; l’esigenza di occuparsi meglio della cosa pubblica, nel piccolo delle nostre scelte quotidiane come nel grande delle decisioni di governo.
Ho provato a immaginare più di un dopo cambiamento circostanziale dettato da questo virus dal nome più adatto a un probiotico, e mi son detta che se fin da adesso non rendiamo intenzionali i piccoli mutamenti che questo periodo di lockdown ha incentivato, non rimarranno che disgusto, sfiducia, lacrime e rabbia.
E a me pare che meritiamo, tutti, molto più di questo.
Post Scriptum
Mi beo nella fiducia che anche dopo continueremo a portare nel mondo il ritrovato ruolo di cittadine e cittadini più attenti e impegnati, di donne e uomini più consapevoli del valore individuale e collettivo delle nostre scelte, di protagoniste e protagonisti di storie migliori di quella che ci siamo lasciati alle spalle.
Tuttavia, siccome i pensieri non bastano e siccome più che di particolari congiunture, per cambiare davvero abbiamo bisogno di azioni, sto segnando sul mio diario giornaliero ogni cosa che voglio portare nel dopo.
Ogni cosa agibile dal lunedì alla domenica, quattro stagioni l’anno, con il bello e il cattivo tempo.
Tu, cosa scegli di portare nel tuo dopo?