Sono giorni di tensione. Di parole di troppo. Di opinioni ed esternazioni di cui personalmente farei volentieri a meno.
Così come farei a meno del 90% dei titoli di giornale. Degli intrugli della nonna spacciati in modo criminale per presidi medici. Di quella morbosità di chi ancora vuole, se non proprio la testa del paziente zero, il nome del primo colpevole untore.
Sono giorni di mal sopportazione.
Di occhiatacce di sbieco. Di misantropia. Di xenofobia.
Giorni in cui la mente di ogni abitante di questo pianeta fa quello che fa quotidianamente: continua a produrre i sui soliti contenuti deliranti.
Con una variante: tra i soliti deliri, uno è diventato virale.
In questo delirio diffuso e collettivo, ogni volta che qualcuno starnutisce, o accenna un piccolo colpo di tosse perché magari gli è andata di traverso un po’ di saliva, verrebbe voglia di avvolgerlo nella pellicola trasparente e metterlo in quarantena (ma anche cinquantena, sessantena, settantena… che si sa: se l’infetto è l’altro, la prudenza non è mai troppa), meglio ancora se in un atollo sperduto in mezzo all’Oceano.
In questo delirio diffuso e collettivo, più virale del virus che lo ha generato, stiamo intasando i centralini di emergenza.
Quindi, se non avete nemmeno una linea di febbre e l’ultimo raffreddore risale a quando vi siete spogliati e gettati nudi nella fontana per festeggiare la laurea o l’addio al nubilato, non abbiate la strana idea di farvi venire un infarto o di avere un incidente: non è un buon momento per altre emergenze sanitarie.
Intendiamoci: non biasimo le crisi di pavor diurno di nessuno. Come potrei visto che con il raffreddore da sinusite cronica che mi trascino da mesi, io stessa, saputo dei tre pazienti piemontesi, ad ogni starnuto o accenno di naso che cola mi sorprendo a rivolgermi sguardi di disapprovazione e diffidenza, a compilare il testamento digitale e a lasciare pizzini ai miei eredi con i codici d’accesso ai miei averi?
[Se vuoi approfondire il tema dell’ipocondria, c’è questo post]
Ed è proprio da quegli sguardi da me a me e dalla serie di azioni ‘non da me’ che mi sono ritrovata ad agire, che è partita una lunga riflessione.
Quando dico riflessione, non dico ragionamento.
La ragione, nelle situazioni di panico e terrore, finisce sempre che esce a comprare le sigarette per rientrare a casa dopo mesi. D’altra parte, perché mai dovrebbe affrettarsi a rientrare in un posto in cui nessuno se la filerebbe di striscio?
Comunque, ho riflettuto.
E in questo riflettere sono passata dal catastrofismo galattico al positivismo interstellare senza soluzione di continuità e, soprattutto, senza alcuna base anche solo apparentemente medica e scientifica.
Ho riflettuto, dunque, nel senso che ho proiettato nel mondo tutta la produzione nevrotica che il mio cervello stava scrivendo sulla questione del virus Corona.
Tutta. Con dovizia di particolari terribili e angoscianti. Con l’incoscienza della superstizione, senza arrivare, ci tengo a dirlo, a quei sublimi picchi di delirio di onnipotenza di taluni secondo i quali basterebbe pensare di essere immuni al virus per non venirne contagiati. Poi uno dice che manchiamo di immaginazione e fantasia.
Mi sono impanata nel mio delirio di paure per ritrovare la ragione.
Mi sono impanata nel mio delirio, prendendomi il tempo per scendere, un gradino la volta, l’inferno del mio terrore di ammalarmi, di soffrire, di veder soffrire le persone che amo.
Perché se c’è una possibilità di agire in modo intelligente in situazioni complesse e straordinarie, questa possibilità ci è data dall’immergerci nelle narrazioni folli che ci albergano in testa con tutti e due i piedi.
Immergerci e stare nelle storie, anche quelle che ci atterriscono, senza saltare le pagine che ci mettono più paura e angoscia.
Immergerci e stare nelle storie che ci raccontiamo senza infingimenti, senza filtri, senza maschere a camuffare la fobia da buonsenso e il pensiero apocalittico da sana e robusta prevenzione.
Immergerci e stare nelle storie deliranti che siamo capaci di produrre nella nostra mente, non perché crediamo di poterne uscire indenni, ma perché abbiamo deciso di correre il rischio.
Un po’ come i ragazzini di IT che ad un certo punto devono scegliere se restare sotto scacco dei loro incubi, o entrare nella tana del Clown e affrontarli.
[A proposito di IT: il film è un capolavoro, ma il libro…]
Il virus c’è, ma ad essere letale non è lui, bensì la trappola della narrazione di lui in cui siamo caduti.
Che poi, a pensarci bene, la patologia più letale l’abbiamo già contratta tutti quanti: ci è stata trasmessa da un rapporto sessuale non protetto e si chiama vita.