cinque lezioni di vita da portare sempre con sé

Ci sono informazioni indispensabili che ci raggiungono esattamente quando serve.

Succede per esempio con il foglio di cortesia che si trova verso la fine di un pacchetto di cartine per tabacco che, quando ne restano soltanto cinque, avvisa provvidenzialmente:  «Only five leaves left», ti restano soltanto cinque foglie.

Ed è guardando il pacchetto di cartine che ho acquistato prima di smettere di fumare (quello a cui sono rimaste le ultime cinque foglie che mi ricordano che si è non fumatori una sigaretta non girata e non fumata alla volta) che mi sono venute in mente le cinque informazioni più preziose, tanto preziose da potersi fregiare del titolo di lezioni, che ho ricevuto dalle fonti più disparate nel momento preciso in cui ero predisposta ad ascoltarle e accoglierle.

Quando ho provato a metterle nero su bianco, mi sono accorta di quanto fossero universali.

Sì, certo, il modo e il tempo specifico in cui mi sono arrivate appartengono alla mia storia individuale, ma il messaggio no.

Così, ho deciso di raccontarti come mi sono arrivate, ma è più che altro un pretesto per condividere qualcosa che so non appartenere solo a me.

Qualcosa che può tornare utile anche a te quando perdi il filo della tua storia e ti smarrisci in fraseggi fuori traccia.

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La lezione che ho imparato dalla mia prima maestra delle elementari

Da piccola non avevo particolare talento o fantasia nel disegnare. Così, quando la maestra ci chiedeva – dopo un temino, un dettato o un compito – di disegnare qualcosa, io andavo nel pallone.

Cominciavo allora a sbirciare qua e là sul quaderno dei miei compagni. Chiedevo loro cosa avrebbero disegnato, e poi mi accollavo alla loro idea, o copiavo di sana pianta la loro cornicetta.

La maestra Maria Grazia, che mi dava bellissimi voti ai temi e ai compiti, sotto i disegni mi scriveva sempre: benino. E a voce mi diceva che si aspettava qualcosa di diverso: «Tieni gli occhi sul tuo foglio: non hai bisogno di copiare dai tuoi compagni per fare bene!»

Eppure, a me pareva che i disegni nati dalla mia fantasia fossero troppo scarni e poveri rispetto a quelli dei miei compagni, coloratissimi e pieni. Senza giocarmi l’aiuto da casa, che fosse lo scopiazzare dai compagni o farmi dare idee da mia sorella, avevo l’impressione di non saper usare i colori e di lasciare un sacco di bianco intorno. Troppo.

Quando ho deciso di seguire il consiglio della maestra e di smetterla di preoccuparmi del disegno del mio vicino, sempre più colorato e pieno del mio, ho scoperto di poter fare da me e che i miei disegni di massimo tre colori incorniciati da parecchio bianco, avevano una loro dignità e si accaparravano anche dei bene e benissimo.

«Tieni gli occhi sul tuo foglio», per me, oggi, vuol dire tante cose.

Vuol dire che l’erba del mio vicino è più verde solo perché mentre io sto perdendo tempo a contemplare il suo giardino, lui a quel giardino ci si sta dedicando.

E vuol dire anche che la ricchezza non è data da milioni di disegni ‘perfetti’ ma tutti uguali, bensì da infinte sbavature che fanno di una pennellata un tratto distintivo.

Quale imperfezione nel disegno (di te) ti rende originale?

La lezione transgenerazionale

Non so se dire «ho imparato che», parlando di questa lezione di vita, sia la formula davvero corretta.

Forse, in questo caso specifico, ha più senso parlare di epigenetica, di un’informazione che mi è stata tramandata insieme al gruppo sanguigno o all’DNA.

Fatto sta che è così che si comportano le donne della mia famiglia: qualunque cosa facciano, la fanno al meglio del loro potenziale; come se da quel farla al meglio dipendesse tutto il resto della loro vita.

Se penso ai lavori che ho fatto, anche ai meno qualificanti, è esattamente con questo presupposto che li ho affrontati: dando il meglio di me.

C’è una favola giapponese che racconta per bene il concetto: la favola di Kota, un ragazzo famoso per la sua capacità di costruire le migliori case di Tokyo. 

Un giorno Kota sente che è arrivato il momento di cambiare vita, dedicarsi di più alle sue passioni e a viaggiare. Così lo comunica al suo datore di lavoro il quale,  prima di congedarlo, gli consegna un’ultima commessa.

Kota accetta ma a differenza di tutte le altre volte non si dedica al lavoro con la cura e l’attenzione di sempre: non avendo più nessuna intenzione di dedicarsi all’edilizia, non vede alcuna opportunità o beneficio nel prodigarsi più tanto.

Kota si occupa dunque della costruzione di un’ultima casa, ma fa un pessimo lavoro.

Finito di costruirla alla bene e meglio, Kota lo comunica al suo datore di lavoro e quegli, a sorpresa, gli consegna le chiavi di quella stessa casa che Kota ha costruito con malavoglia, disimpegno e noncuranza.

Per tutto il tempo in cui aveva costruito senza amore e cura l’ultima casa della sua carriera, Kota, a sua insaputa, stava costruendo la sua casa.

Morale della favola: fai bene quel che ti prendi la responsabilità di fare, perché qualunque cosa tu stia facendo oggi, anche un lavoro che al momento potrebbe sembrarti insignificante, è una parte fondamentale per la tua storia di domani.

Stai costruendo una buona casa?

La lezione che ho imparato scrivendo storie

Scrivere storie mi ha insegnato che un eroe che abbia solamente obiettivi è meno efficace di un eroe con una missione.

Perché se a un protagonista che ha come obiettivo il diventare un avvocato dai una missione irresistibile – per esempio proteggere gli innocenti, o lottare per la parte più debole della società – gli dai soprattutto una fonte d’ispirazione inesauribile. Una profondità.

La differenza tra un obiettivo e una missione è che un obiettivo ha una data di scadenza ed è a servizio della missione, mentre una missione è per sempre, non si ottiene e funziona come una bussola.

Qual è, dunque, la tua missione?

La lezione che ho imparato da un film per ragazzi

Ho un debito di riconoscenza verso il maestro Kesuke Miyagi (Karate Kid) perché mi ha insegnato che grandi gesta sono frutto di umiltà e costanza.

Se Daniel vuole imparare il karate e vuole vincere la sua gara, tutto ciò che deve fare è semplice e ordinario come pulire delle vecchie auto parcheggiate in un’autorimessa (e respirare!).

«Lo straordinario si realizza nell’ordinario» non vuol dire altro che: il successo e la grandezza sono il risultato della somma di tante azioni quotidiane, piccole, umili, poco glamour e quasi mai cool.

Per Tizio che brucia dall’ardente desiderio di scrivere un best seller, dare la cera e togliere la cera significherà scrivere 500 parole al giorno; per Caio che vuole chiudere dieci contratti al mese, sarà fare 50 chiamate; per Sempronio che ha deciso di piazzarsi tra i primi 100 alla Maratona di New York, vorrà dire alzarsi alle 5 del mattino e correre 20 km al giorno.

E il tuo dare la cera e togliere la cera, è...?

La lezione imparata dalla Mindfullness

Lo scorso anno ho fatto un corso di Mindfulness e la prima cosa che ho imparato è stata quanto avessi bisogno di Mindfulness, soprattutto per me.

Nonostante non fossi una newbie, un’inizianda nelle tecniche di consapevolezza, focusing e meditazione, mi sono trovata a constatare che la quantità di spazzatura e ciarpame che ancora accumulavo (e accumulo, ti garantisco!) ogni giorno nella mente, senza praticamente accorgermene, era davvero impressionante.

Ripartire dalla Mindfulness mi ha dato una nuova e utile occasione per lavorare sulla vigilanza e sull’accortezza.

Se non riesco a mantenermi sufficientemente attenta nel momento presente, non me ne faccio cruccio.

Quel che cerco di fare è ritagliarmi due o tre momenti nella giornata per concentrarmi sul respiro e fare una breve verifica di:

  • cosa ho guardato
  • cosa ho letto
  • cosa ho ascoltato
  • di chi mi sono circondata (nel mondo reale o nel mondo digitale, non fa differenza!)
  • come ho parlato a me stessa
  • cosa ho visualizzato prefigurando alcuni scenari

Se ciò che ho guardato, letto, ascoltato, visualizzato non mi ha resa serena; se le persone di cui mi sono circondata e le parole che ho rivolto a me stessa non sono state garbate, gentili, amorevoli, pratico gratitudine e congedo: ringrazio per l’esperienza e lascio andare.

Per cosa ringrazi, oggi, e da cosa ti vuoi congedare?

Conclusioni

Ed ecco il mio pentalogo per autori (consapevoli) della propria storia.

Il mio bonsai della saggezza con le sue cinque foglie che rimangono ostinatamente aggrappate ai rami, non importa quanto forte sia il vento che lo scuote.

Sono curiosa di sapere se anche tu hai un tuo pentalogo di saggezza, e di conoscere la fonte di queste lezioni preziose che ti sono arrivate e che potrebbero tornare utili a me e a chi altro ti leggerà nei commenti.

Per te che in questo pentalogo hai trovato ispirazione e vuoi stamparlo per tenerlo dove puoi buttargli un occhio più volte nella giornata, ho preparato uno scaricabile:

SCARICA FIVE LEAVES LEFT • IL PENTALOGO