Appesi al filo dei ricordi: la memoria della nostra storia

Si può riscrivere la propria storia?

E se davvero si può fare, come la mettiamo con il passato? Perché ciò che è stato non può essere cambiato. Oppure sì? E in quale modo e misura?

Ricordi in presenza

Le domande che ci intasano i pensieri sono spesso legate al passato: «Se non avessi, se avessi… sarei la stessa persona che sono oggi?»

Non possiamo prescindere chi siamo da ciò che siamo stati, tagliare via un pezzo della nostra storia passata e fare come se non fosse mai esistita. Questo è chiaro.

Ma le vicende e i fatti, ce lo siamo detti molte volte qui e in altre sedi, non sono mai ‘puri’, bensì figli di elaborati processi di codifica e decodifica che avvengono all’interno del nostro cervello e sui quali, a meno di non decidere di metterci mano, abbiamo il controllo fino a un certo punto.

Per capire meglio, dobbiamo fare un breve tour nel centro di elaborazione dati che ci portiamo in giro (o che ci porta in giro? Mmm…)

Una memoria, due memorie, più memorie

La chiamiamo genericamente memoria, al singolare, eppure non è una sola.

Esiste la memoria filogenetica, quella che ci appartiene fin dalla nascita e grazie alla quale veniamo al mondo sapendo come suggere il latte dal seno materno, o sbattere le palpebre, o usare la voce, inizialmente per mezzo del pianto, per richiamare l’attenzione.

Da questa memoria in dotazione a ciascun elemento della specie, si sviluppano altre due tipologie di memoria che hanno una più stretta relazione con l’ambiente fisico, il contesto sociale, l’educazione e la cultura in cui siamo calati: la memoria dichiarativa e la memoria procedurale.

La memoria dichiarativa (o esplicita) pertiene la sfera dei ricordi coscienti, registrati nel tempo, recuperati ed espressi per mezzo del linguaggio (da qui la definizione ‘dichiarativa’).

Questa memoria, a sua volta, può distinguersi in: dichiarativa semantica e dichiarativa episodica.

La memoria procedurale (o implicita) ha a che fare con il come eseguiamo un’azione senza ‘disturbare’ la coscienza.

Per intenderci, la memoria implicita si occupa in autonomia di azioni quotidiane come battere sulla tastiera di un computer, guidare, pedalare: appena saliamo in auto, o appoggiamo il sedere sul sellino, il corpo recupera in automatico le informazioni che gli servono, anche se abbiamo la testa in altre faccende affaccendata.

Non a caso, quando vogliamo indicare qualcosa che una volta appresa entra nel repertorio delle nostre capacità per rimanerci per sempre, usiamo metafore tipo: «È come guidare», o «È come andare in bicicletta».

Se il contesto in cui ci muoviamo è quello della nostra storia, personale o professionale che sia, la memoria di cui ci interessa maggiormente il meccanismo è quella dichiarativa.

La memoria dichiarativa semantica

La memoria dichiarativa semantica archivia tutta la nostra conoscenza sul significato di parole, concetti, schemi e strutture di riferimento.

Facciamo un esempio molto semplice e blando che ci aiuti a capire meglio il funzionamento di questa memoria.

Proviamo ad analizzare la parola ‘impegno’. Facciamo riferimento a una frase che il 90% delle persone si è sentita ripetere mille e una volta tra i 6 e i 18 anni: «Se ti impegnassi di più nello studio, avresti voti migliori».

Fingiamo che il 70% di quel 90% abbia accolto come buono e giusto il suggerimento, abbia cominciato a impegnarsi di più e infine abbia ottenuto per davvero risultati migliori. Il modello di riferimento “più ti impegni, più ottieni”, a quel punto è entrato nel registro di memoria di quel 70% di persone.

Finché i fatti si atterranno al modello di riferimento registrato, ovvero finché la persona impegnandosi di più otterrà di più, i ricordi dei successi ottenuti saranno presenti, ma con ogni probabilità poco nitidi e particolareggiati: il modello viene dato per scontato e non richiede al nostro cervello alcuna attenzione particolare.

Quando invece le cose non dovessero andare secondo i piani, quando la persona cioè dovesse ottenere molto pur avendo dato pochissimo, o al contrario dovesse fallire pur avendo profuso largo impegno, il ricordo di quell’evento verrà inciso nella memoria con maggior dovizia di particolari (emotivi, fisici, concettuali).

Particolari, però, che al contrario di quel che accade nella memoria di un cervello digitale, come una pen drive per esempio, sono plausibili di cambiamento.

Infatti, le reti neurali semantiche, proprio perché le cose non vanno sempre secondo lo schema, rielaborano costantemente le informazioni, aggiungendo o togliendo; aumentando o diminuendo; modificando sulla base dei valori e dell’interesse del momento alcuni aspetti.

La memoria dichiarativa semantica, dunque, è plastica e selettiva: essa non ci restituisce i ricordi di tutte le esperienze allo stesso modo, ma sottolinea con maggiore intensità i ricordi degli eventi e delle esperienze che non hanno coinciso con il quadro semantico delle nostre aspettative.

La memoria dichiarativa episodica

La memoria dichiarativa episodica riguarda la capacità di ricordare consciamente esperienze ed eventi specifici che abbiamo vissuto come attori o come spettatori.

Risponde a domande come: chi, cosa, dove, come, quando; ed è una sorta di macchina del tempo mentale che ci permette di tornare nel passato, ma anche allungarci verso il futuro attraverso l’immaginazione e la visualizzazione di una condizione desiderata, e vivere o rivivere i fatti di quel momento.

È la ragione per cui, se sei nata o nato prima del 1990, probabilmente ti ricordi dov’eri, con chi, e cosa stessi facendo quando, l’11 settembre 2001, ti ha raggiunto o raggiunta le notizia del crollo delle Torri Gemelle.

Al pari della semantica, anche la memoria episodica, per quanto legata a ricordi concreti, è soggetta a selezioni e riscritture, poiché i ricordi di esperienze concrete che immagazziniamo dipendono dal modo in cui li codifichiamo, dalla loro significatività per noi.

Come ebbe a dire il neuroscienziato canadese Endel Tulving: la memoria è un viaggio nel tempo soggettivo.

Ecco spiegato come e perché molti dei ricordi di famiglia cambiano a seconda di chi li racconta.

Memoria e autobiografia

Scrive Emilio Garcia Garcia in Siamo la nostra memoria:

«[…] quando si recupera un’informazione custodita nella memoria si attivano nuovamente i processi biochimici, perciò, in un certo modo, ogni volta che viene riavviato, un ricordo si ricostruisce biologicamente. […] Quando rivisitiamo un ricordo non ci limitiamo a recuperarlo in modo oggettivo e sempre uguale, come chi estrae un libretto dal cassetto o apre una cartella sul desktop del pc. Ciò che sperimentiamo nel rammentare è un’azione che porta la struttura neurale della memoria modificare il ricordo, il quale, per la sua plasticità, viene modellato nel corso del tempo in differenti ‘rivisitazioni’»

Detto in altri termini: noi riscriviamo costantemente la nostra storia, anche se non lo facciamo in una compresenza sempre vigile e dichiarata. E non importa che la storia che riscriviamo, o vogliamo riscrivere, sia passata o futura, poiché tutto appartiene al presente: dal «c’era una volta» a «e poi un giorno…»

Camminiamo sul filo della nostra storia, sospesi tra ricordi e desideri (che in fondo non sono altro che ricordi che stiamo imbastendo al tempo futuro) e abbiamo sempre, benché non sempre ce ne rendiamo conto, la possibilità di renderci autori di ogni pagina della nostra vita, anche quando le pagine appartengono a vecchi capitoli già scritti.

Prova settimanale dell’eroe

Se questa storia della possibilità reale di riscrivere la tua storia non ti convince, usa i ricordi per mettere in dubbio le tue certezze.

Prendi un ricordo della tua giovinezza, un episodio che hai condiviso da vicino con qualcuno, e scrivilo così come ti ritorna alla mente. Poi chiedi a quel qualcuno che era con te di fare la stessa cosa, o di raccontartelo come lo ricorda lui, o lei.

Cosa cambia nelle due versioni?