Saggiare, ovvero mettere alla prova con cautela; sondare prima di agire in qualsiasi direzione.
Il saggio sa aspettare, non perché sia innatamente prudente e paziente, bensì perché sa che le scelte eccellenti hanno bisogno di domande intelligenti che lo facciano approdare alle giuste informazioni. E per formulare domande di questo tipo, spesso serve più tempo di quanto normalmente io e te non ci concediamo.
Il saggio è tale perché le sue azioni non sono mai dettate dall’impulsività del momento e dal bisogno di ricompense immediate. Egli ha come scopo ciò che è giusto, ma non è un giustizialista. Si muove seguendo la guida dei propri valori, ma non è un moralista.
La saggezza è uno strumento e in quanto tale, anche nella remota ipotesi tu ne fossi nata (o nato) sprovvista (o sprovvisto), puoi farla tua allenandoti a usarla.
Pensieri lenti e veloci
Lo psicologo Daniel Kahneman, in Pensieri lenti e veloci, ha esaminato i due sistemi di pensiero che usiamo per la nostra attività decisionale:
- il Sistema 1 ⇒ rapido e intuitivo; lo usiamo per tutte quelle decisioni che potremmo definire effimere (cosa acquistare al supermercato, cosa indossare, che film o serie guardare su Netflix). Funziona in modalità automatica, esprimendosi in giudizi improvvisi sulla base di pattern (schema o modello) comportamentali condivisi dall’ambiente di riferimento
- il Sistema 2 ⇒ lento e ragionato; lo usiamo quando dobbiamo deliberare su questioni importanti (un matrimonio, un divorzio, un figlio, un cambio di vita). Si muove sulla scia del dubbio e della sfida, ma è tendenzialmente pigro e cede volentieri il passo al Sistema 1.
Semplificando: il nostro pensiero saggio è rappresentato dal Sistema 2, dall’indole letargica e neghittosa, il quale, per funzionare al meglio del suo potenziale, ha bisogno di pratica ed esercizio.
Il mio tesssssoro
Mentre scrivo di pensieri lenti e veloci, mi torna alla mente un episodio di tanti anni fa.
Avevo all’incirca quattordici anni e un morosetto molto romantico, per il mesiversario, mi regalò un grazioso anellino in argento incastonato con tre piccole pietre d’ametista.
Come puoi immaginare, tenevo a quel pegno d’amore come al più prezioso dei tesori, tanto che, per non rischiare di perderlo, ogni volta che subodoravo anche solo lontanamente il rischio che mi si potesse sfilare dal dito accidentalmente, lo toglievo e lo riponevo in una scatolina, una di quelle di latta decorate per caramelle.
Una di queste occasioni di rischio si presentò d’estate, a un campo ragazzi. Ci aspettava una giornata di giochi senza frontiere all’aria aperta, e così, la mattina, tolsi l’anello, lo riposi nella scatolina e lo lasciai in camerata, tra le mie cose.
La sera, quando tornai con l’intenzione di rinfilarmi l’anello, la scatolina era dove mi aspettavo di ritrovarla ma era vuota. Chiesi alle mie compagne di stanza, tutte amiche delle quali non avrei mai potuto sospettare, se ne sapessero qualcosa. Chiesi ai ragazzi, più inclini ai dispetti e agli scherzi idioti. Infine, non riuscendo a risolverla da me, denunciai l’accaduto agli educatori che, ripetuto il giro di domande, non vennero a capo di nulla.
Mi disperai, mi arrabbiai, mi chiusi in un atteggiamento di ruminazione e diffidenza e, infine, mi rassegnai: l’anello era sparito e non c’erano colpevoli. Forse avevo un falso ricordo dell’istante in cui lo avevo riposto? Forse lo avevo perso io stessa?
Il campo estivo finì, ricominciarono le scuole, e io dimenticai l’anello per più di un anno. Una sera, a casa della mia amica Sara, ebbi un tuffo al cuore: il mio perduto anello, non c’erano dubbi perché aveva un piccolo difetto che lo rendeva inconfondibile, era lì, in un cestino per le ‘gioie’ in bella vista su una mensola della sua camera.
Superato il blocco da incredulità, decisi di affrontare a cuore aperto Sara. Lì per lì, probabilmente colta dal panico e dall’imbarazzo, Sara negò. Poi, di fronte all’evidenza delle prove, confessò fra le lacrime e si scusò profusamente.
Avevo ben agito, mantenendo la calma, ascoltando la sua versione e le sue ragioni. Avevo, o almeno così pensavo, capito e perdonato.
Cui prodest?
Ero stata tradita, ma nel momento della conciliazione avevo agito in modo tanto saggio che persino Aristotele avrebbe potuto citarmi in uno dei suoi libri sull’etica. Avrebbe potuto, se solo non avessi fatto prevalere, poche ore dopo, gli impulsi.
Cominciai infatti una vera e propria campagna di sputtanemento, come direbbero alla Crusca, incrinando definitivamente i rapporti con Sara, creando fratture, fazioni e malessere all’interno del gruppo e perdendo alcune amicizie. Tutto per un’esplosione di rabbia che non aveva altro scopo se non una vendetta che mi sarei potuta risparmiare: d’altra parte ero rientrata in possesso del maltolto e avevo ricevuto scuse sincere. Cosa avrei potuto chiedere di più?
L’episodio dell’anello è uno dei tanti a cui penso quando rifletto su quella che il filosofo stagirita, Aristotele appunto, definiva: saggezza pratica.
La saggezza pratica è un atto di deliberazione, vale a dirsi un liberare le scelte dalla precipitosità degli istinti.
Se in quell’inverno 1994 fossi riuscita a fermarmi e a chiedermi: «a chi giova?», domanda che oggi non manco più di farmi quando mi trovo dinnanzi a una scelta, certamente non avrei iniziato la mia crociata del biasimo e della vergogna.
Se avessi conosciuto e messo in pratica le lezioni d’etica di Aristotele, avrei probabilmente agito sulla guida delle sette regole per una buona delibera.
A lezione di saggezza da Aristotele
Dall’ Etica Eudemia e dall’Etica Nicomachea di Aristotele possiamo ricavare sette regole da seguire ogni volta che ci è richiesto di fare una scelta.
Prima di vederle una per una, dobbiamo chiarire ancora un punto: perché si possa parlare di scelte è necessario che vi siano le condizioni per scegliere. Lo Stagirita ce lo spiega così:
«L’uomo è causa di tutte le cose che dipende da lui fare o non fare, e tutte le cose delle quali egli è causa dipendono da lui»
Detto in altri termini: puoi agire una scelta solo su ciò che dipende strettamente da te. Non puoi, per esempio, scegliere che qualcuno della tua famiglia smetta di fumare, o di bere, o di sperperare denaro giocando d’azzardo. Non puoi decidere per il tuo compagno o la tua compagna quale lavoro, città, o abitudini siano meglio per lui o per lei.
Non è etico, ci dice Aristotele, perché nessuna persona può possedere le scelte di un’altra.
Ciò che puoi fare, però, è comportarti secondo etica attivando un circolo virtuoso. Vediamo come.
Regola uno: non scegliere di fretta
Se ti sei già domandata, o domandato, a chi giova la scelta che stai per compiere, ovvero quale obiettivo serva; se hai appurato che è qualcosa che dipende da te fare, o non fare, allora non ti resta che dormirci su.
I greci usavano dire: «Delibera la notte», un invito a riflettere non tanto e non solo sulla scelta di per sé, ma sul modo per raggiungerla e per tenersi fermi sulle cose che si sono deliberate.
Le persone che non si prendono il tempo per deliberare «sono suscettibili, impulsive e hanno scarsa consapevolezza del senso della vita» (cit. Edith Hall). Chi non si prende il tempo per deliberare, rischia, come scrive Aristotele, di fare la fine di quella «città che emana tutti i decreti opportuni e ha leggi eccellenti, ma non se ne serve».
Scegliere, in soldoni, non significa solo spuntare opzioni, bensì metterle in opera.
Regola due: verifica le informazioni
Sulla base di quali informazioni stai operando la tua scelta? Torniamo alla parola deliberare: la scelta che stai per compiere poggia su conoscenze ed è libera da opinioni e dicerie?
Le opinioni e le dicerie ci fanno fare la fine di Otello: la diceria di trasforma in dubbio venefico, il dubbio venefico diventa opinione e l’opinione, senza i dovuti esami, trasmuta in verità falsificata.
Regola tre: consulta un esperto e ascoltane i consigli
Quando abbiamo un dubbio, un’indecisione, siamo portati a confidarci con le persone più care. Niente di male: arricchisce le nostre relazioni e crea intimità. Tuttavia, le persone che fanno parte della nostra cerchia ristretta non riescono, per ruolo e per affetto, a darci pareri e consigli totalmente disinteressati.
Ci amano e vogliono saperci al sicuro; ci amano e desiderano il meglio per noi, ma il meglio di cui ci parlano è un parametro inficiato dalla relazione e dalle aspettative.
Se devi fare un investimenti in Borsa, la miglior cosa che puoi fare e affidarti a un esperto di finanza. Se devi risolvere un problema di salute, servirà a poco fare il giro delle cartelle cliniche delle persone che conosci per sapere se hanno avuto mai i tuoi sintomi e come si sono curate: vai da un medico!
Se ci sono incrinature serie tra te e la tua compagna, o il tuo compagno, la strada migliore da percorrere non è chiedere consiglio all’amico o all’amica del cuore, bensì intraprendere una terapia di coppia.
Regola quattro: mettiti nei panni degli altri
Tra le scelte che compiamo sono pochissime quelle che non hanno una ricaduta sul nostro mondo e sulle persone che ne fanno parte. Decidere se lasciare un lavoro con uno stipendio sicuro per buttarti in un’iniziativa d’impresa autonoma, potrebbe incidere sul bilancio famigliare, per esempio; ma anche sul tuo umore, sul tuo tempo libero, su una serie di abitudini consolidate.
Quando devi deliberare su qualcosa, domandati:
- chi, oltre me, beneficerà di questa scelta?
- posso nuocere a qualcuno? Se sì, come?
Regola cinque: esamina la storia
Il passato non è un buco nero dal quale tenersi alla larga per paura di venire inghiottiti dai brutti ricordi e da dolori che potrebbero riaccendersi al primo cenno. È un prezioso archivio di esperienze e di prove empiriche al quale attingere per non ripetersi nei medesimi errori e non inciampare ostinatamente alla stessa crepa.
Oggi, ventisei anni dopo, di fronte al tradimento della fiducia, faccio tesoro dell’esperienza dell’anello e ripesco da quell’episodio le informazioni che possono rivelarsi utili in situazioni simili:
- come reagisco di fronte a una scoperta che mi ferisce?
- come reagiscono le persone che conosco quando vengono smascherate?
- che cosa innesca la vendetta?
Chiediti sempre: «Cosa accade quando…?» e non ti troverai più a dover gestire spiacevoli sorprese.
Regola sei: calcola probabilità e variabili
Strettamente legata alla cinque, la regola sei è un invito a fare delle informazioni che riesci a recuperare esaminando la storia un piano d’azione per ogni variabile e probabilità che riesci a intercettare.
Poiché sotto pressione tendiamo a utilizzare il Sistema 1 di cui abbiamo parlato a inizio post (reattivo, automatico, impulsivo), avere un piano d’azione pronto all’uso ci aiuta a superare l’indolenza del Sistema 2 e a tenere ferme le deliberazioni per non mancare l’obiettivo che ci siamo prefissati.
Regola sette: usa tutti i tuoi cervelli
Racconta il mito che i Persiani avessero un bizzarro modo di prendere decisioni d’importanza collettiva e di portata nazionale: la prima delibera la facevano completamente ubriachi, la seconda impeccabilmente sobri. L’aspetto interessante di questo metodo è che passavano all’azione solo quando, tra un eccesso di alcool e uno si sobrietà, i verdetti coincidevano.
Per dirla con Kahneman: scegliere è un processo armonico tra il Sistema 1 e il Sistema 2. Per dirla pop: decidi sincronizzando la testa e il cuore. Per dirla a modo mio: invita in sede di delibera tutti e tre i tuoi cervelli, ciascuno di loro ha caratteristiche uniche che daranno alla tua scelta l’ampiezza di vedute che ti serve.
Prova settimanale dell’eroe
Questa settimana ti propongo un training intensivo di pratica di saggezza. Ogni volta che devi prendere una decisione, anche banale (tipo passare la serata su Netflix o uscire per una birra), poniti la domanda magica:
A chi giova?
Se preferisci, puoi anche usare la formula:
Qual è lo scopo?
Ti abituerai a ragionare saggiamente senza ansia da prestazione e i tuoi obiettivi ti ringrazieranno.