Nell’ultima settimana qui a Torino son scesi non so quanti millimetri di pioggia e io, noto esemplare di umano adatto a luoghi asciutti e tiepidi, incline a una certa inerzia stagionale, ho dato il giro alle mie abitudini letargiche e mi sono goduta un po’ di vita sociale.
Mi sono immersa nella bellezza, nell’arte e nella creatività là dove sapevo di trovarla. Ho scoperto bellezza, arte e creatività là dove non potevo immaginare vi fossero e tutto perché mi sono data il permesso di uscire da una delle mie cornici.
La mia cornice, la tua cornice, e il muro su cui ci inchiodano
Viviamo inquadrati in una serie di cornici alle quali non facciamo quasi più caso. Cornici collettive e individuali. Utili e meno utili. Efficaci o penalizzanti.
Abbiamo per esempio le cornici di tempo: quelle dettate dai quattro momenti della giornata (mattina, pomeriggio, sera, notte); quelle per il dovere; quelle per il piacere; quelle che ci diamo per iniziare e finire un lavoro, una riunione, un appuntamento o per portare a realizzazione un progetto; quelle per curarci della nostra alimentazione, del nostro corpo e persino del nostro “tempo libero”.
Abbiamo poi delle cornici linguistiche che inquadrano in poche parole abituali il punto di vista che tendiamo ad avere sul mondo e su noi stessi:
«Non sono mai riuscito a combinare nulla»
«Ho sempre lasciato che fossero gli altri a scegliere per me»
«Se mi rispondi in questo modo, allora significa che…»
«Mi piacerebbe *scrivere *dipingere *cantare *recitare *esporre le mie fotografie, ma…»
E troppo spesso ci accade di rimanere inchiodati al muro delle nostre granitiche certezze, dove penzoliamo lasciando che la polvere si depositi sui nostri sogni, sui nostri desideri e sull’espressione dei nostri talenti.
Cornici e posizioni emotive
In che posizione ti metti quando parli di te e del mondo: prima, dopo, sullo stesso piano?
Di recente ho avuto un interessantissimo scambio di battute su Facebook riguardo alle espressioni:
• «Io e tu»
• «Tu e io»
• «Noi»
Di fatto, le tre frasi hanno lo stesso significato grammaticale; di petto, raccontano storie diverse.
Nella prima storia ci sono io che conduco, che ti prendo per mano o ti travolgo, e poi ci sei tu. Nella seconda ci sei tu che guidi e poi io che sono portata, delicatamente o bruscamente, da te. Nella terza ci siamo noi, fianco a fianco, simmetrici e reciproci, nel bene e nel male.
Gli esempi più efficaci che mi arrivano in questo momento per condividere la sensazioni derivanti dalle posizioni emotive delle tre frasi sono brani:
⇒ IO E TU, I was made for lovin’ you, Kiss
Che se si parla di Io preponderante (qui anche abbastanza ipertrofico), non ne manca nemmeno un pochino.
⇒ TU E IO, Piano con l’affetto, Üstamamò (da 2:15 a 2:22)
Esemplare la strofa: «Tu mi inietti succhi diabolici, io non possiedo antidoti»; ovvero sono f…regata!
⇒ NOI, Bomba o non bomba, Antonello Venditti
Qui è un «noi» oppositivo, noi VS voi, ma è comunque un noi che si fa simmetrico e compatto per un risultato.
La cornice problema
Quando parli dei tuoi progetti, dei tuoi sogni e dei tuoi desideri, cosa metti al primo posto: il problema o la soluzione?
«Andrei a farmi un fine settimana a Parigi, ma nessuno viene con me»
«Scriverei la storia della mia famiglia, ma temo che mi provochi troppo dolore»
Se volessi attingere anche soltanto al mio zaino di cornici limitanti, potrei scrivere pagine e pagine di frasi come le due qui sopra. Ho sofferto della Sindrome del SìMa (leggasi anche: «sì… ma») per gran parte della mia vita. A essere onesta fino in fondo non è molto che me ne sono liberata, e a voler vuotare completamente il sacco, che tanto qui siamo tra pochi amici intimi, ancora oggi succede che io abbia improvvise ricadute.
La SìMa Syndrome, conosciuta anche come «è sempre bello credere di avere una possibilità», è la cornice linguistica che ci inchioda maggiormente al muro del pianto della nostra frustrazione. Perché certo, è vero che negli esempi sopra potenziale, desideri e obiettivi vengono in qualche modo espressi, ma…
Ma, appunto, c’è sempre un «ma», una preposizione connettiva che si apre su una condizione avversa o avversata. Perché e da chi non è proprio chiaro.
Prova settimanale dell’eroe
Che si fa se si è affetti dalla SìMa? Si applica la giusta dose di «anche se»
Riprendiamo le frasi di poco sopra e spalmiamole con dell’«anche se»:
«Andrei a farmi un fine settimana a Parigi, anche se nessuno viene con me»
«Scriverei la storia della mia famiglia, anche se temo che mi provochi troppo dolore»
Cambia, no?
Per la prova settimanale dell’eroe ti invito ad applicare l’«anche se» ai tuoi «Sì… ma».
Pensi di poterlo fare? Io credo di sì e sono curiosa di sapere cosa sarà cambiato in te, nella percezione delle tue possibilità e nell’azione verso la realizzazione di ciò che per te è importante. Torni a raccontarmelo nei commenti qui sotto? Dai, ti aspetto!