Un supereroe, oltre a superpoteri che gli sono propri o che condivide con altri supereroi (una notevole e sovrumana forza fisica è un elemento ricorrente, per esempio), ha sempre una qualità, una caratteristica, un segno caratteriale particolare che spicca sul resto del suo corredo genetico e non. Batman, per esempio, ha la caratteristica di non avere superpoteri di nascita. Considerato che a trasformarlo in un supereroe è stata la sua stessa decisione di diventarlo, non gli si può negare, tanto per andare sul facile, incredibili caparbietà e risolutezza .
Sull’onda di questi pensieri, qualche sera fa ho lanciato un gioco sulla pagina Facebook:
L’idea era quella di scoprire quale punto peculiare di un supereroe, dote o difetto che fosse, risuonasse di più nelle corde dei partecipanti, per poi tornare e svelare a ciascun giocatore e giocatrice cosa rivelasse di lui o lei la parola scelta. Poco più di un passatempo intrigante. Un po’ da nerd, forse, ma perché nascondere la propria natura?
Nel leggere le risposte, però, ho sentito che limitarmi a passare a dare una restituzione stringata mi avrebbe fatto perdere un’occasione. L’occasione di mettermi in gioco almeno quanto Davide, Anna, Antonella, Elisa, Angelo, Rita… (non vi nomino tutti ma ci sarete tutti, qui in questo post) e aprire la porta sul mondo certamente complesso, ma incredibilmente affascinante e potente delle parole.
Usiamo le parole ogni giorno per esprimerci, per comunicare, per richiamare l’attenzione. Ne usiamo di tipiche: parole che non sono certamente solo nostre, ma che nel nostro vocabolario ricorrono più di altre. Ne coniamo di personali: inconsapevolmente, nell’atto di apprendimento cercando di pronunciare al meglio; consapevolmente, per gioco o per generare epiteti caratterizzanti («Questo pezzo è una deandrata»).
Le parole assolvono a compiti importanti:
• ci permettono di dare un nome alle cose
• ci aiutano a distinguere, classificare e catalogare gli oggetti in base all’esperienza che abbiamo degli stessi
• ci danno accesso al sapere e ci permettono di memorizzare e tramandare
• creano la realtà così come la vediamo e l’irrealtà così come la immaginiamo
• ultimo ma non ultimo, le parole ci fanno prendere coscienza
Ed è proprio su questo ultimo aspetto che ci concentriamo in questo post fuori programma ispirato dalle parole di chi si è messo in gioco in un gioco senza pretese.
Partiamo da qui: le parole che scegliamo per descrivere il mondo, e quindi tanto le persone quanto gli oggetti, sono il mondo. O perlomeno, sono il mondo così come lo vediamo noi. Il mondo dal nostro punto di vista.
La vista soggettiva, così come quella oggettiva (il tuo apparato visivo e il mio) ha un suo raggio di influenza, e ciò significa che dalla nostra particolare angolazione abbiamo accesso privilegiato ad alcune informazioni e accesso negato ad altre. A meno di non spostarci dalla posizione in cui siamo, fisica o emotiva, e cambiare così panorama.
Con le parole che scegliamo per descrivere il mondo, così con il mondo per come lo percepiamo, entriamo in sintonia o in distonia: sentiamo cioè di essere sulla stessa linea d’onda, oppure no. Entrare in sintonia o distonia prevede per l’appunto un ingresso in un particolare stato d’animo: questo ingresso è il primo passo del processo di identificazione.
Da qui il discorso si fa davvero interessante e per proseguire andiamo a disturbare i giocatori del mio nerdquiz facebookiano.
La domanda posta («Un supereroe può essere?»), per quanto lieve e scherzosa ha attivato nella mente di chi ha risposto, anche soltanto a se stesso o a se stessa, un atto di immedesimazione. Nell’arco di pochi millesimi di secondo, io stessa che ho aperto le danze scegliendo la parola riluttante, sono andata a pescare tra le mie reference – letterarie, filmiche, immaginarie – quella specifica parola con la quale si identifica la mia parte emotiva. Attenzione: il processo di identificazione scatta anche quando entriamo in conflitto con un’idea o una persona. Ogni volta, in pratica, in cui diciamo «Io…»: «Io non avrei fatto così»; «Anche io avrei fatto così».
Addentriamoci ancora un po’ nella dinamica emotiva scaturita dal gioco. La domanda iniziale,«Un supereroe può essere?», ha tanti piani di lettura quanti sei in grado di dargliene, naturalmente; ma non dimenticare che se anche ognuno di noi è unico e irripetibile, tutti noi condividiamo un codice memetico, culturale. Nell’immaginario collettivo, un supereroe è colui che fa il bene, che opera per il bene. Certo, sappiamo che esistono gli antieroi, e quindi anche gli antisupereroi, ma la domanda posta non ne contemplava la presenza. La domanda iniziale era infatti precisa e puntuale: «Un supereroe può essere?»
Nel momento in cui rispondo riluttante, la mia parte emotiva si sta identificando con quella particolare caratteristica di quei, o quel supereroe. Perché?
Parliamo di supereroi, dunque di personaggi che hanno ricevuto una chiamata all’avventura (>>> di chiamata all’avventura ne ho parlato qui) e sono portatori di un mega potere che sarà loro propizio durante la missione. Ma sono anche portatori di caratteristiche “umane”, quelle che di solito li avvicinano a noi e ce li rendono simpatici. Superpoteri, caratteristiche umane… In sintesi: energia messa in gioco.
La domanda iniziale, seguendo quel naturale processo di identificazione e immedesimazione, potrebbe quindi diventare: «Quale energia sta – o non sta – mettendo in campo il tuo supereroe interiore?»
Vediamo, attraverso le risposte condivise con il gioco, quali informazioni possiamo portarci a casa da una semplice associazione di idee.
Un supereroe può essere…
Riluttante, la mia risposta. Il mio supereroe interiore è riluttante. L’energia che sto mettendo in gioco nella condivisione del mio potere personale così come del mio potenziale è un’energia di contrasto: è un classico caso di rifiuto alla chiamata. Perché? Be’, perché le zone di comfort sono davvero confortevoli e «chi lascia la strada vecchia per la nuova…» False credenze, dirai. Certo. È evidente. Non lo è altrettanto la mia riluttanza, evidente dico, ma visto che è venuta fuori ho l’occasione per lavorarci su e usare le energie in modo meno conflittuale e più utile e arricchente.
Davide ha risposto oscuro. Se Davide fosse un mio coachee, se lo avessi di fronte e potessi scavare nella sua risposta, gli chiederei se questa oscurità riguarda i sentimenti del suo supereroe o le azioni. Non è da escludere che possa valere per entrambi i campi. Oscuro, in ogni caso, è parola legata a qualcosa che non ha una chiara intelligibilità; al tempo stesso riporta al concetto di caverna, quindi di separazione dall’altro, di solitudine. Oscuro è pure usato come sinonimo di insidioso: un potere oscuro è un potere occulto. Di nuovo non è chiaro e di nuovo, se avessi Davide in colloquio, gli chiederei: non è chiaro dove ti porta o non è chiaro se sia un potere buono, una buona energia positiva e galvanizzante per te e per gli altri?
Elisa, aka Urfida, ha scelto la parola moribondo. Un’energia moribonda – così come un potenziale e un progetto moribondi – è un’energia che ha bisogno di qualche aiutante. Moribondo è sfinito, ma non finito. Moribondo è una richiesta di aiuto, collaborazione, sostegno. Il bisogno di essere un «Uno per tutti, tutti per uno». Se avessi Elisa qui di fronte le chiederei: chi potrebbe dare una mano a questo tuo supereroe interiore semi annientato? E anche: quale credi sia la tua criptonite, l’elemento che più ti indebolisce in questo particolare momento? E ultimo ma non ultimo: chi sono gli altri ‘magnifici’ che vorresti avere in squadra?
Anna ha associato a supereroe la parola problematico. Un potere problematico, così come un’energia problematica, potrebbe esserlo o esserla perché non gestibile, o attendibile ed affidabile. Potrebbe trattarsi di un potere, o di una energia, che a volte si manifesta e altre no. Un’energia o un potere indisciplinati, o non allenati o nutriti a sufficienza. Ma c’è anche un’altra lettura: un’energia e un potere sono problematici anche quando portano con sé una serie di problemi. Se avessi Anna qui, le domanderei sicuramente se sente che la sua energia e il suo potenziale la mettono, o teme possano metterla, nei guai. O se sente problematica la gestione dei suoi talenti come dei suoi difetti, o presunti tali.
Angelo ha preferito la parola solitario. Conosco molto bene Angelo e so che la sua energia e il suo potenziale si esprimono al meglio nell’avventura, nell’epica. Laddove io sono riluttante alla chiamata, Angelo è riluttante all’assenza di chiamata. Solitario è dunque legato a una condizione emotiva: quando si lotta per qualcosa, ognuno deve fare la sua parte e nel fare la sua parte è solo. Anche non lo conoscessi, quel solitario mi riporterebbe all’epica cavalleresca, all’archetipo del cavaliere senza macchia e senza paura, così come non potrei fare a meno di indagare la presenza di un Chisciotte che si nutre di immaginazione e vive delle sue avventure rischiando di isolarsi dal mondo reale.
Giovanni ha dato una risposta che non si associa spesso a un supereroe: fazioso. C’è di certo della faziosità nel decidere da che parte stare, nel parteggiare per una squadra o per un’altra, nello stabilire chi siano i buoni e chi i cattivi. Ma se non limito la parola nel quadro del suo utilizzo e della sua accezione più diffusi, mi viene in mente che un’energia faziosa (così come un potere e un potenziale faziosi) può essere vista come un’energia parziale: che non si esprime quindi del tutto, ma decide, forse anche in un modo avvertito come opportunistico, su chi e cosa puntare; o che si manifesta in modo parziale, che non trova cioè quel terreno propizio e fecondo in cui disseminarsi. Sarebbe interessante andare a fondo della questione con Giovanni.
Antonella ha puntato la sua attenzione su vulnerabile. Il tallone di Achille, la criptonite citata poco sopra… Ogni (super)uomo e ogni (super)donna ha il suo proprio punto debole. Dietro la parola scelta da Antonella potrebbe esserci un pensiero orientato non tanto al non accettare la chiamata (la riluttanza), ma all’accettarla senza rischiare di essere massacrati. L’energia è quindi un’energia che tende all’autoconservazione; che si domanda come uscire là fuori senza rischiare di trovarsi, prima o poi, moribondi. È un potenziale che non ha ancora trovato il coraggio di manifestarsi del tutto, che teme di ritrovarsi ‘pivello’ in un campo di battaglia pieno di guerrieri esperti. È, per fare un esempio bucolico, l’energia del germoglio: tutto quel che serve c’è già, non resta che sbocciare e rischiare sì il gelo, le intemperie e l’incuria dell’uomo, ma anche il sole, il vento, gli occhi pieni di incanto di chi si fermerà ad ammirare.
Rita, aka Hermana, ha risposto alla domanda del gioco con una domanda, e già questo la dice lunga: «Potrebbe essere insicuro sulla decisione da prendere?». Rispondere a una domanda con una domanda, e farlo mettendo tra le parole il lemma insicuro, racconta di un potenziale e di un’energia non pienamente riconosciuti, da sé, principalmente, e forse anche dagli altri, perlomeno a livello di sensazione. Se Rita fosse in colloquio con me le chiederei: cosa renderebbe più sicuro il tuo supeeroe interiore? Forse, come nel caso del moribondo, per sprigionare il suo potere e mettere in gioco il suo potenziale, potrebbe essergli d’aiuto un team di sostenitori, aiutanti, cheerleader invasate che tifino per lui come sola missione della vita? Se sì, che caratteristiche dovrebbero avere questi aiutanti?
Incompreso è la parola che Massimo ha scelto di associare al ‘suo’ supereroe di riferimento. Spesso le intenzioni dei supereroi non sono capite. Alcune volte il loro progetto viene osteggiato perché non se ne comprendono le ragioni o non se ne riconosce la buona fede. È incompresa un’energia primigenia, nuova e innovativa rispetto a un ambiente di riferimento. È incompreso un potenziale che non segue vie conosciute per esprimersi ma apre nuovi varchi di esplorazione. Nel supereroe che percepisce se stesso come incompreso c’è un’aspettativa delusa e c’è un potere delegato, un «Voi dovete comprendermi», che significa tante cose: dovete accettarmi per quello che sono, intercettare le mie buone intenzioni, spalleggiare le mie scelte, ma più di tutto «Voi non avete il diritto di rigettarmi». La delusione e la rabbia del supereroe incompreso spesso gli fanno compiere atti che lo rendono ancora meno simpatico alla comunità. Se avessi con Massimo una conversazione in ambiente di coaching gli domanderei sicuramente come il suo supereroe potrebbe riappropriarsi di quel potere delegato al voi. Cosa, detto terra terra, potrebbe fare per trasformare quelle istanze alla comunità in suggerimenti per se stesso: «Come posso inserirmi in questo contesto portando quel valore che so di poter portare?»
Ida ha optato per la parola incompleto e mi ha scatenato la fantasia: incompleto nel senso che un Batman senza Robin è un po’ come la Basilicata senza Matera? Incompleto perché non ha ancora compiuto la sua metamorfosi in supereroe? Incompleto a causa del suo ruolo di supereroe che lo costringe a essere dimezzato (come Clark Kent/Superman, Diana Prince/Wonderwoman, Bruce Wayne/Batman…) e a non sentirsi mai integro abbastanza da potersi completare nelle relazioni sociali, intime? Parliamo di potenziale: un potenziale è incompleto quando non si integra nelle scelte che facciamo o abbiamo fatto, quando non si realizza in quelle scelte. Un’energia che viene prodotta, dall’entusiasmo, da nuove idee, da un progetto, non è completa se non si manifesta attraverso l’azione. Chiederei a Ida: cosa rende incompleto il tuo supereroe?
Debole, scelta da Irina, è l’ultima parola condivisa. Debole incontra altre due parole che abbiamo visto in precedenza: vulnerabile e moribondo. Debole è quel supereroe che non ha sufficiente energia per adempiere al suo ruolo, per concludere la battaglia, per sconfiggere il nemico. In certi casi, il supereroe colpito nel suo punto debole, capisce che deve accettare di perdere la battaglia se vuole vincere la guerra, e si ritira. In altri casi chiede aiuto. In altri ancora aspetta di rinforzarsi prima di rimettersi in gioco. Se Irina fosse qui davanti a me le chiederei: cosa senti che ci vorrebbe al tuo supereroe interno per recuperare le energie, rafforzare il potenziale e tornare a poterlo esprimere senza sentirsi troppo debole per farlo?
Il potere delle parole che scegliamo, l’energia che sprigionano, dicono di noi tante cose: basta tendere l’orecchio e ascoltarle.
Condividi anche tu, qui sotto nei commenti, la parola che assoceresti alla domanda del gioco: «Un supereroe può essere?», passerò a lasciarti un appunto che possa aiutarti a sbloccare il potere e l’energia del tuo supereroe interiore.