la paura delle paure è avere paura di niente

«Sono…»
«Non sono…»
«Ho sempre…»
«Non ho mai…»

Molti dei nostri discorsi iniziano con una frase che dichiara una cesura tra ciò che siamo e ciò che non siamo; o che sottolinea un deficit, e cioè una mancanza, tra ciò che abbiamo e ciò che ci è precluso. Anche se sarebbe decisamente più corretto dire: tra ciò che pensiamo e non di essere, e ai beni, doni, talenti, ai quali riteniamo o no di avere accesso. In pratica, gran parte delle nostre conversazioni inizia con un keynote dei nostri limiti.

«Certo che però – starai dicendo tra te e te – da qualche parte dobbiamo pure cominciare quando ci presentiamo agli altri». Giusta osservazione: nel breve tempo dell’interazione con l’altro che non siamo noi, dobbiamo trovare, e avere, una serie di sinossi più o meno brevi in grado di vendere la storia, di presentare il prodotto.

«Sono Carlotta, ho quasi quarant’anni e incredibilmente non fumo da tre mesi» («Benvenuta, Carlotta!»): è una presentazione che dice di me alcune cose, ne lascia intendere altre e ne nasconde altre ancora, a seconda di cosa desidero che riceva, e a seconda di che decide di ricevere, chi mi sta di fronte in quel momento. 

Fino a tre mesi fa avrei potuto invece presentarmi così: «Sono Carlotta, tra poco avrò quarant’anni e ne ho passati ventitré a fumare». Entrambi i pitch sono in un certo senso veri, ambedue sono limitanti.

Presta attenzione al tono: nella prima presentazione dico chiaramente che non posso credere di essere riuscita a togliermi – e comunque da appena tre mesi – un viziaccio insalubre; nella seconda mi accuso di non avere sufficiente amore e forza di carattere per rinunciare a un’abitudine malsana che m’accompagna, tra l’altro, da gran parte della mia vita. In tutte e due le affermazioni striscia insidiosa la paura. E non una generica, bensì la paura dell’errore.

La paura dell’errore

Io la definisco anche la paura della paura. Perché quando abbiamo paura di commettere errori, o di essere in errore, quando non di essere un errore, in verità abbiamo paura di niente; o meglio, di tutto; il che equivale a non distinguere momenti e situazioni in cui ha senso fare entrare in gioco l’emozione paura, tipo di fronte a un leone che ci guarda con l’acquolina in bocca limandosi gli artigli, e altri in cui è assolutamente inane se non controproducente, per esempio quando ci imbarchiamo in un obiettivo o progetto nuovi.

Nell’esempio dei miei due personali keynote limitanti: la paura della paura di non avere sufficiente amore e forza di carattere per rinunciare alle sigarette mi ha fatto continuare a fumare per più di vent’anni e mi persuade, tutt’oggi, a ritenere altamente probabile una ricaduta, il che sul serio mette la mia disintossicazione dalla nicotina in pericolo.

La paura dell’errore anziché salvaguardare la nostra vita ci salvaguarda dal vivere. Vale a dire che ci mette al riparo dalla libera espressione personale, dal nostro potere generativo, creativo e trasformazionale. Infatti, le uniche cose che siamo sicuri generi e crei la paura della paura sono la dipendenza e la subordinazione.

Dipendenti da chi? Subordinati a chi, o a cosa?

La parola errore ha origine da errare. Vagare qua e là. Errabondo è colui che non segue una mappa, una via indicata, traiettorie decise e precise che non porteranno mai allo smarrimento.

Se segui il copione, lo abbiamo visto la scorsa settimana, non puoi perdere il filo. E la perdita, o più opportunamente la minaccia della perdita, diventa la nostra signora e padrona. Dipendiamo così dall’angoscia di subire o incappare in una perdita di soldi, di tempo, di prestigio, di tranquillità e finiamo con il subordinare le nostre scelte a un’idea di sicurezza che è appunto soltanto l’idea che ci siamo fatti, per educazione, abitudine e memetica (o replicazione, ma in definitiva tutto quanto gli individui si trasmettono a livello culturale, tra loro, attraverso l’imitazione). 

Se segui il copione, non rischi di cambiare la storia così come te la sei voluta raccontare, o te la sei lasciata raccontare: non la perdi, non ti perdi. Fiuuu, ora sì che sei al sicuro! Già, ma da che esattamente?

Rifugio o cella?

Sono/non sono.
Ho/non ho.
Posso/non posso.
Giusto/sbagliato.
Bene/male.

Il sapere codificato, la rappresentazione della realtà come una replica continua (le stagioni tornano, è vero, ma una primavera, per quanto simile, non sarà mai davvero uguale a un’altra), il conforto dell’assenza di dubbio sono una protezione dall’errore allettante. A botte di cataloghi e classifiche, costruiamo il nostro rifugio anti insolito, anti diverso, anti novità e anti erranza e quindi azione, movimento, sperimentazione ed esperienza. Una piccola gabbia dorata della quale rimaniamo prigionieri senza nemmeno accorgerci: la paura della paura, appunto.


Sostituire la paura con l’attenzione

La paura non è il male universale, sia chiaro. La paura è utile, quando serve uno scopo nobile. Come evitarci, per esempio, di saltare da un tetto all’altro di due palazzi per vedere se ce la possiamo fare per poi finire schiantati al suolo, una decina di piani più sotto. Ma siccome nell’evoluzione abbiamo fatto un po’ di casino nel ridefinire i termini della paura, preferisco sostituire la parola con attenzione, meglio ancora con accortezza.

Se ti dai il permesso di errare, e cioè viaggiare al di qua e al di là del mondo così come lo hai conosciuto finora, accompagnando i tuoi passi con l’accortezza (a[c]-cor-tezza: dando valore al tuo cuore, quindi al tuo sentire fuori dai cataloghi e dalle classifiche), non hai alcun bisogno di rifugi.

Uscire dalla paura della paura

Liberarsi dalla gabbia della paura della paura non è faccenda risolvibile con qualche esercizio estemporaneo. Il sistema che hai messo su negli anni, il tuo rifugio dal tuo potere generativo, creativo e trasformazionale, è intelligente e complesso, tuttavia hackerabile.

Per iniziare potresti partire dal catalogo dei tuoi:
sono/non sono
ho/non ho
posso/non posso

Prendi tre fogli, uno per ogni tema (essere, avere, potere). Su una facciata traccia quattro colonne in questo ordine:
colonna 1: «sono» (nel figlio 2, «ho»; nel foglio 3, «posso»)
colonna 2: vuota
colonna 3: «non sono» (nel foglio 2, «non ho»; nel foglio 3, «non posso»)
Colonna 4: vuota

Inizia l’esercizio accorpando sotto le colonne 1 e 3 le frasi che compaiono spesso nei tuoi discorsi. Per esempio: «Sono sempre molto precisa»; «Non sono mai abbastanza brillante» / «Ho poca disponibilità economica»/ «Non avrò mai una casa che mi piace» / «Posso aspettare ancora un po’» / «Non posso cambiare lavoro». 

La seconda fase dell’esercizio consiste nel compilare le colonne 2 e 4 con frasi che dicano l’opposto di quelle che hai scritto nelle colonne 1 e 3. Sull’esempio delle frasi sopra avrai:

Colonna 1: «Sono sempre molto precisa» / Colonna 2: «Sono approsimativa»
Colonna 3: «Non sono mai abbastanza brillante» / Colonna 4: «Sono brillante»

Colonna 1: «Ho poca disponibilità economica » / Colonna 2: «Ho disponibilità economica»
Colonna 3: «Non avrò mai una casa che mi piace» / Colonna 4: « «Avrò una casa che mi piace»

Colonna 1: «Posso aspettare ancora un po’» / Colonna 2: «Non posso aspettare»
Colonna 3: «Non posso cambiare lavoro» / Colonna 4: «Posso cambiare lavoro»

Avrai sicuramente notato che nelle frasi trasformative ho abolito parole come mai, sempre, molto, poco e non. Le frasi delle colonne 2 e 4 devono risultare semplicemente affermative.

Finito l’esercizio non ti resta che declamare le tue nuove affermazioni tutti i giorni. Declamare, sì. Nel senso che devi leggerle ad alta voce. Devi sentirne il suono, oltre che vederne la traccia scritta. È possibile che nel farlo ti senta in imbarazzo, alcune volte anche totalmente fuori posto, distonica o distonico rispetto a quel che stai affermando. Va bene, è esattamente quello che devi imparare a fare: stare nell’incertezza, nel timore di dire una cazzata, nel fastidio di sentirti sbagliata o sbagliato, nella responsabilità di commettere un errore, nella paura di perdere la sicurezza dei limiti che ti sei imposta o imposto.

Recita le tue affermazioni finché queste sensazioni di incertezza, smarrimento e imbarazzo non svaniscono. Puoi imbrogliare, certo, d’altra parte la paura della paura è la tua e sei libera o libero di continuare a sceglierla come tua cella, ops… rifugio.