un ostacolo è tale perché lo affrontiamo come tale

La scorsa settimana è accaduto qualcosa nella mia vita privata che mi ha convinta ad accantonare per un attimo il mio bel piano editoriale per dedicarmi a sviscerare alcuni pensieri intorno al concetto di superamento. L’evento scatenante è stata una rimpatriata che, nel caso specifico, non potrebbe trovare definizione migliore dato che ho rivisto una persona che non vedevo da quasi un decennio, la quale ha per l’appunto patria dall’altro capo del mondo.

Se due persone in passato legate da una relazione – professionale, amicale o sentimentale, poco importa nel contesto  di questo post – si evitano per più di un lustro, o se per lo meno anche soltanto una di queste evita scientificamente l’altra per anni, l’allontanamento che vi è stato a suo tempo non si è certamente consumato nella pace e nella serenità degli animi. E quando questo accade – quando cioè ci si lascia male come si usa dire in gergo pop – la relazione, e con essa i due o più elementi che l’hanno originata, rimane come cristallizzata in quel momento in cui tutto ha avuto fine. E a rimanere cristallizzati sono anche i sentimenti (brutti e/o buoni che fossero), i pensieri, le opinioni e le emozioni legate a quella linea narrativa.

 La lunga serialità della tua vita

Una linea narrativa, in sceneggiatura, è una trama che coinvolge una serie di personaggi che si muovono all’interno di una narrazione più grande (la storia raccontata da tutta la serie o il film): i Lannister, gli Snow, i Targaryen, hanno tutti una storia personale che intreccia quella generale della serie (Game of Thrones, ma che te lo dico a fare?), e hanno tutti un’agenda (un desiderio e un bisogno da soddisfare, un obiettivo da perseguire).

Nella lunga serialità che è la vita, di linee narrative se ne creano e sviluppano un tot. Alcune sono episodiche: iniziano e finiscono nel lampo di un evento.

Entri in un Caffè, ti cade una banconota mentre stai pagando, la tipa o il tipo gentile in coda dietro di te la raccoglie, te la porge, vi sfiorate le mani, vi sorridete; poi tu finalmente paghi, un ultimo sguardo fugace prima di imboccare la porta e il resto della tua vita, e… fine della storia.

Altre sono linee narrative di stagione: hanno un ciclo di vita più lungo e complesso.

Entri in un Caffè, ti cade una banconota mentre stai pagando, la tipa o il tipo gentile in coda dietro di te la raccoglie, te la porge, vi sfiorate le mani, vi sorridete; tu finalmente paghi, un ultimo sguardo fugace prima di imboccare la porta, esci, e quando ormai sei abbastanza lontana o lontano da pensare che per resto della vita non saprai il suo nome, una mano ti sfiora una spalla; a quel punto ti volti e lei/lui è proprio lì accanto a te. Segue storia d’amore tenerappassionata più o meno duratura, fraintendimenti, conflitti, rappacificazioni, ri-conflitti, dolore, recriminazioni, finché alla fine uno dei due – o entrambi, perché no? – getta la spugna. Stagione finita: ci vediamo alla prossima con nuovi e accattivanti episodi e personaggi. Naturalmente, ci sono le storie a lieto fine che lasciano fantasticare di stagioni che durano una vita intera. Confesso che nonostante quel po’ di cinismo formatosi con l’età e l’esperienza, si tratta ancora delle mie storie preferite, vere o di finzione che siano.

Altre linee narrative ancora sono seriali: il ciclo di vita non solo è lungo, ma è anche ripetitivo e potenzialmente infinito.

Entri in un Caffè, ti cade una banconota mentre stai pagando, la tipa o il tipo gentile in coda dietro di te la raccoglie, te la porge, vi sfiorate le mani, vi sorridete; tu finalmente paghi, un ultimo sguardo fugace prima di imboccare la porta, esci e quando ormai sei abbastanza lontana o lontano da pensare che non saprai mai il suo nome per resto della vita, una mano ti sfiora una spalla, tu ti volti e lei/lui è proprio lì accanto. Segue storia d’amore tenerappassionata più o meno duratura, fraintendimenti, conflitti, rappacificazioni, ri-conflitti, dolore, recriminazioni, tira e molla, molla e tira, finché uno dei due – o entrambi, perché no? – prova a gettare la spugna, ma qualcosa, di solito il rancore, la/lo trattiene. Stagione finita, ok; ma solo per una breve pausa estiva e poi ci si rivede a settembre.

Un sistema narrativo che troviamo tipicamente nelle soap opera che, non per nulla, possiamo anche abbandonare per qualche anno, tanto prima o poi riprenderanno dal punto esatto in cui le avevamo lasciate.

 Se l’inverno non arriva, tu vallo a cercare

Certe serie, così come certe vite, sembrano fatte apposta per drammoni sine fine, per rese dei conti che tardano a compiersi, per inverni che non arrivano mai. E invece, nella vita vera, l’inverno bisogna proprio che arrivi perché i finali aperti vanno bene, certo, ma soltanto quando si ha intenzione di continuare una certa linea narrativa; in caso contrario, la stagione va chiusa. Meglio prima che poi, e comunque purché sia.

Tornando alla mia recente vicenda autobiografica: scegliere la rimpatriata al posto dell’evitamento scientifico mi è costato più di qualche notte agitata. Una parte di me era convinta che il tempo e la lontananza avessero fatto da sé; che non avesse senso dopo tanti anni riaprire un dialogo; che la conversazione tra noi, tra me e la persona in questione, in fondo appartenesse al passato e non c’entrasse più nulla con il mio presente. Il che era un po’ vero e un po’ no. Certamente tempo e distanza hanno funzionato da analgesico per le ferite aperte; di sicuro il mio presente è una storia che amo e che voglio continuare a costruire sui presupposti con cui è stato creato e con le persone che ve ne fanno parte oggi e quelle che verranno; tuttavia, una conversazione interrotta (non chiusa, non elaborata), o una relazione che dir si voglia, è un cliffhanger – ovvero una sorta di fermo immagine – che lascia sospesi oltre il tempo, su un orrido roccioso, a costante rischio sfracellamento.

Hegel, il teorico della sintesi, sosteneva che per superare una tesi, che è una posizione, è necessaria un’antitesi, una contrapposizione. A mantenere la posizione di chi chiude la porta senza chiudere i sospesi, si rischia di non fare mai i conti con il proprio dolore e con la propria storia: meglio, a questo punto, affrontare l’inverno piuttosto che il suo fantasma.

E non credere che la cosa valga soltanto per le relazioni sentimentali o amicali. Prova a pensare a quella delusione professionale che non hai elaborato e che non ha mai smesso di bruciarti; o a quel risultato mancato per poco che ancora ti chiedi come sia potuto accadere; o a quel successo che si è sgretolato in un attimo per un futile inciampo. Hai chiuso quel conto? E se non lo hai fatto, quanto pesa nel budget delle tue risorse energetiche?

Per quanto riguarda me e la mia rimpatriata che mi ha dato il pretesto di parlare di superamento, posso dirti che a conti fatti mi sono sentita più leggera e forte. Pensa che questa mattina la mia quotidiana passeggiata veloce si è addirittura trasformata in una corsetta. Son cose.