Cosa manca al tuo branding?

Se non hai mai sentito parlare di vuoti narrativi non farti prendere dall’ansia: il termine è mutuato dal mondo del cinema e usato soprattutto in ambito di editing, o nella critica.

In principio con vuoto narrativo si intendeva un salto, una mancanza tra un fotogramma e un altro di una pellicola.

Nel tempo, per estensione, il vuoto narrativo è passato a indicare un vuoto, una omissione o una mancanza nella trama di una storia.

C’è per esempio un vuoto narrativo quando il protagonista passa da un atteggiamento ostile a uno bendisposto senza che vi sia nulla nella storia che giustifichi un tale arco di trasformazione.

Quando, cioè, mancano informazioni basilari affinché lo spettatore continui ad agganciarsi alla storia mantenendo intatto il livello di seduzione, sorpresa e coinvolgimento.

Dal cinema al branding

Tra i primi a formalizzare il legame tra lo storytelling e il branding c’è stato l’imprenditore americano Donald Miller.

Nel suo libro Building a StoryBrand (ti ho messo il link alla versione inglese perché l’edizione italiana ha una traduzione poco accurata che rende spesso difficoltosa la lettura quando non persino la comprensione), Miller suggerisce di lavorare su un brand proprio come lavoreremmo su una storia in cui vogliamo far entrare e rendere protagonista il nostro lettore preferenziale (aka cliente ideale).

Il concetto di Miller non è diverso da quello che ho espresso in questo articolo di un paio di anni fa, dove sostenevo appunto che il nostro brand non riguarda tanto la nostra storia, quanto la storia dei nostri clienti:

«In altre parole, l’eroe del tuo brand non sei tu, ma il tuo cliente, e ciò che conta davvero quando esci da una stanza non è ciò si dice di te, ma quel che il cliente può dire di sé dopo che nella sua storia sei entrata, o entrato, tu.»

Il vuoto narrativo nel tuo branding

Restando nella cornice dello story brand, sei di fronte a un vuoto narrativo del tuo branding quando hai:

  • o una ellissi voluta e ricercata per creare attesa e curiosità nelle persone che vuoi raggiungere e coinvolgere
  • o un vuoto di informazioni tale per cui le persone che vuoi coinvolgere finiscono per sentirsi  frustrate e quindi espulse da quella stessa storia che hai creato per loro

La differenza tra l’uno e l’altro è che nel primo caso stai consapevolmente usando una figura retorica per agganciare le tue persone: prima o dopo quel vuoto verrà colmato, e l’attesa e le aspettative della tua audience verranno riccamente ricompensate.

Nel secondo caso, invece, la parte mancante è una svista, un errore, e come tale ha bisogno di essere corretto.

Che paure hai?

No, non parlo di te.

Ti sto piuttosto suggerendo una delle domande che di solito evitiamo di porre ai nostri clienti quando ci occupiamo di tutte quelle azioni che ci aiutano a creare una determinata immagine della nostra azienda (quando, in una parola, facciamo branding).

Come eliminare le peggiori paure dei nostri clienti

Intanto una specifica: qui non parliamo del problema o del desiderio logorante che tiene sveglio il tuo cliente ideale e la cui soluzione o risposta, se hai lavorato anche solo minimamente bene, è nei tuoi prodotti e/o servizi.

Qui parliamo di tutte quelle obiezioni che i tuoi auspicabili clienti potrebbero sollevare rispetto alla tua offerta.

Cosa li spaventa nell’investire in ciò che proponi loro?

Perché sul tuo ecommerce, su dieci processi d’acquisto, cinque finiscono con un abbandono del carrello?

A quali domande non hai ancora risposto?

Se rispondessi a quelle domande, potresti trasformare tre di quei carrelli lasciati in sospeso in una vendita; un tot di follower in clienti o per lo meno in quasi clienti?

Recupera i messaggi, le email, i segnali di fumo, i ricordi delle conversazioni passate e i commenti, e prova a tirar giù una lista di domande che hai lasciato senza risposta.

Se lavori bene su questa task potresti trovarti con una cinquantina di domande, dalle più complesse alle più bizzarre e divertenti: un gran bel po’ di materiale per i tuoi contenuti e per il tuo branding.

Ok, ma quanto costa?

Mi capita di rado, ma qualche volta clicco anch’io sulle improbabili inserzioni ubriache che mi appaiono su Instagram (ubriache perché nessuna inserzione di app di allenamento si presenterebbe mai sul mio feed se fosse sobria).

Qualche giorno fa ho cliccato per curiosità su un’inserzione di un programma di allenamento per donne che vogliono glutei da ventenni anche se hanno superato i 40 (Ok, forse sto avendo una crisi di mezza età precoce).

Nel video, una gran bella donna non più ventenne, mi raccontava dei suoi sodissimi glutei e mi invitava (proprio me e solo me, certo!) a scoprire con un test se il suo percorso di allenamento facesse a caso mio.

A quel punto ho cliccato sul link (Oh cielo, allora è vero, ho sul serio una crisi precoce di mezza età!) e ho fatto il test.

Il primo shock lo avuto quando il risultato del test mi è stato comunicato con un altro video in cui la mia gluteinforma mentore aveva lasciato il posto a un pettoruto Ercole dei giorni nostri. Eh va be’, ho incassato il colpo e ho fatto del mio meglio per superare il senso di abbandono.

Ma il vero trauma è stato che per scoprire cosa mi stessero davvero offrendo e quanto mi sarebbe costato, ho dovuto sucarmi guardare una presentazione di venti stramaledetti minuti.

Come non generare un esaurimento nervoso nei tuoi clienti

Della comunicazione di questo fantomatico programma per glutei d’acciaio, tra ellissi volute e decisamente mal riuscite se, vista la presenza sul mio feed, io ero in target, e vuoti narrativi che potrebbero creare traumi perpetui al sistema nervoso di un monaco tibetano, ci sarebbe da parlarne ore. Non lo farò.

Quel che invece faccio è chiederti: quanto può essere frustrante per un tuo cliente trovare il prezzo dei tuoi prodotti/servizi?

Quanto è largo il buco tra un fotogramma e l’altro della seconda informazione più cercata nei siti di chiunque venda qualcosa?

Se va oltre le 500 battute e i 60 secondi, e non ne vale davvero la pena, è arrivato il tempo di sistemarlo.

Niente è perfetto!

E per quanto mi riguarda questa è la miglior notizia di tutte.

Ciononostante, quando si tratta di vendere qualcosa, a nessuno passerebbe mai neanche per l’anticamera del cervello di inserire nel libretto delle caratteristiche del prodotto la sezione “magagne”.

Eppure, certe magagne che ben conosciamo dei nostri prodotti o servizi, non possono nascondersi per sempre.

Mi viene un mente Annalisa, designer di bellissime collane in lattice riciclato da prop, maschere e costumi di scena in teatro.

Questo tipo di materiale è soggetto a consumarsi e a rovinarsi con il tempo. Una collana di Annalisa è bella, ma non è per sempre.

E Annalisa lo dice, subito. Ti racconta la storia di quel pezzo e ti dice che prima o poi quella storia avrà una fine.

Personalmente la trovo una cosa incredibilmente poetica: una collana con un inizio e una fine. Proprio come tutte le cose vive della vita. O come una pièce teatrale, da cui peraltro arriva.

E siccome mi conosco abbastanza bene da sapere che ho un cassetto pieno di bigiotteria durevole che non metto da anni, ho indossato la mia collana a lisca di pesce finché non mi sono stancata di vedermela addosso.

Ci siamo felicemente consumate insieme ed è stato bello.

Come dire quel che non si vorrebbe dire

Annalisa ha fatto una cosa eccezionale: ha trasformato un punto apparentemente debole del suo prodotto in uno di forza e unicità.

Qual è il tallone d’Achille della tua offerta?

Come puoi parlarne e raccontarlo così bene da renderlo il difetto più desiderato che c’è?

Bello, ma caro

La ragione per cui un grammo di Da Hong Pao, il leggendario tè degli imperatori Ming, costa 1300 € il grammo quando un tè da grande distribuzione ne costa circa 0,052 €, è che tutta la produzione esistente viene da sole sei piante sopravvissute al tempo.

Certo, 9000 € per una tazza di tè possono sembrare un tantino esagerati. Ma quella non è una semplice tazza di tè.

C’è una cosa che chiunque di noi fa quando s’approccia a un nuovo acquisto: confronti, comparazioni, elucubrazioni.

E in questo check up completo, non vince necessariamente la proposta migliore, bensì quella più facile da capire e da misurare.

Pensa per esempio alle guide di The Ordinary, il noto marchio australiano che ha portato la cosmesi di qualità alla portata delle tasche di tutti semplificando all’osso i prodotti: se non sai da cosa iniziare o se va bene per te, loro ti aiutano a scoprirlo.

Come aiutare i tuoi clienti nel momento della scelta

Meglio questo o quello? Si chiedono le persone davanti alle tue proposte (e non solo alle tue!)

Meglio rispetto a cosa?

Il modo in cui racconti le tue proposte, risponde a questa domanda?

Il modo in cui proponi i tuoi servizi o prodotti, aiuta i tuoi clienti a sceglierti?

Perché, tra tante possibilità, dovrebbero entrare proprio nella tua storia e non in un’altra?

Non posso aiutarti, però conosco una persona che…

Tutti i clienti cercano la soluzione migliore. E che ci piaccia o no, quella soluzione non siamo sempre noi.

Ciò non toglie un grammo al nostro valore, e non dice nulla di tremendo sulla nostra professionalità.

Tuttavia, ciascuno di noi ha modi, toni, sistemi e anche visi che ad alcuni piacciono e ad altri no; che per alcuni funzionano e per altri manco per nulla.

Quindi, ora che abbiamo appurato di non avere sempre la Soluzione con la S maiuscola, o la giusta faccia, possiamo non fare gli stronzi e renderci utili anche quando scopriamo di non essere indispensabili.

Come renderci utili quando non siamo indispensabili

Sono molte le informazioni che cerchiamo come clienti quando dobbiamo scegliere se acquistare o meno un prodotto o un servizio.

Tra queste, facciamo molto affidamento sulle recensioni.

Le recensioni che però ci colpiscono di più, non sono quelle delle persone che prima di noi hanno acquistato il tal prodotto o servizio, bensì le recensioni pro, scritte da chi è nel medesimo settore del professionista o dell’azienda di cui parla, o di un settore contiguo o complementare.

Non mi riferisco a marchettoni e leccate di piedi al guru di turno.

Parlo di consigli spassionati che daresti alla tua migliore amica o al tuo migliore amico; di consigli senza ricompensa che nascono da una domanda pulita e generosa: come posso essere di ispirazione quando non sono una soluzione?

A proposito di consigli spassionati

Laura Lonighi di Yunikon e io abbiamo unito le forze e insieme abbiamo creato Burando: la serie in diretta You Tube per il tuo brand e il tuo branding.

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