Io me la vedo l’espressione di sgomento che ti stravolge i tratti del volto mentre leggi il titolo di questo blog post.
In effetti, ciò che cerchiamo di evitare con cura nella vita è metterci nei guai scientemente.
E il problema è proprio questo: credere che un problema sia un guaio dal quale tenersi alla larga.
Il codice del problema
Qualsiasi problema ci mette davanti a qualcosa di insolito o inaspettato.
Potremmo quindi dire che un problema non è una bega o un guaio, bensì un proposto.
Un problema dunque propone – suggerisce, questiona, stimola e sposta la nostra attenzione –, ma non dispone; non ci colloca cioè da nessuna parte, né in un inferno a patire il contrappasso dei nostri peccati, né nel limbo di chi non ha un posto in cui espiare o godere.
A questo punto, anche tu che hai preso la cittadinanza onoraria di Sfigopoli, puoi tirare un sospiro di sollievo.
Eppure, ciò che facciamo d’abitudine è trattare un problema come una macchia nera e molesta sulle pagine della nostra storia; prenderlo come un fatto anziché vederlo per quel che è: un’informazione da decodificare.
Un problema di codifica
Nel momento in cui un problema diventa un fatto, e cioè qualcosa di ormai compiuto, il nostro cervello non lavora più per decodificarlo e quindi risolverlo, al massimo ce lo ripropone come la peperonata mangiata a cena la sera prima.
Il problema che abbiamo tramutato in un fatto è come una di quelle porte a codice che ci ostiniamo a voler aprire con una vecchia chiave in ferro battuto: non funzionerà mai!
E allora perché ci ostiniamo a usare una vecchia chiave del tutto inutile?
Semplice! Perché quella chiave è stata forgiata dal fuoco sacro dei nostri ideali.
Fenomenologia della chiave in ferro battuto (o degli ideali)
La parola idea è una parola bellissima. Ha a che fare con il vedere, con il sapere e con il conoscere.
Il mondo delle idee è una dimora senza cancelli all’ingresso: un luogo di libertà che pone domande e sfide, che getta le fondamenta per la costruzione di qualcosa di meglio rispetto a quel che già c’è.
Il fatto è che noi esseri umani abbiamo qualche problemino con l’idea di libertà.
La libertà ha un’essenza davvero difficile da decodificare.
Ci proviamo da secoli, semplificandola in discutibili concetti come: «La mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro»
Se però la mia libertà finisce davvero dove principia quella dell’altro, e l’altro vuole essere libero di uccidermi, e io voglio esercitare la mia libertà di rimanere viva, capisci bene che la faccenda si complica.
Quando qualcosa che abbiamo disperatamente tentato di semplificare si fa complicata, tendiamo a semplificarla ancora di più.
Nascono così gli ideali: idee complesse tradotte in parole semplici – tipo amore, rispetto, pace – tanto inafferrabili e volubili da originare contraddizioni niente male, come fare la guerra in nome della pace.
Il problema ideale come macchia sulla nostra storia
Immagina una persona con un certo ideale di famiglia felice che venga travolta da una serie di vicende famigliari che di felice hanno poco o nulla.
[Di felicità ho parlato in questa newsletter]
Diciamo che nell’ideale di famiglia felice di questa persona ci sono:
- due partner complici, amorevoli e fedeli
- due lavori stabili e ben retribuiti
- figli di sana e robusta costituzione
Ora, poniamo che in questa famiglia idealmente felice, a un certo punto, irrompa un tradimento, un licenziamento, una malattia.
Se al presentarsi di uno di questi elementi di disturbo dell’idillio famigliare, il protagonista identificasse il problema nel crollo del suo ideale di famiglia felice, il problema diventerebbe un fatto compiuto, una sentenza senza possibilità di appello.
A questo punto, qualsiasi azione decidesse di intraprendere per fronteggiare l’accadimento specifico – riconciliarsi o separarsi, cercare un nuovo lavoro o ridimensionare il suo stile di vita, rivolgersi a medici luminari o affidarsi alla Santa Trinità –, il problema rimarrebbe comunque irrisolto, vivo e attivo dentro di lui come un bifido batterio. Una macchia indelebile sul pedigree della sua storia.
Ma il crollo di un ideale è un problema?
Crearsi problemi nuovi per risolvere il problema
La soluzione di un problema passa dal crearsi deliberatamente problemi nuovi, laddove per deliberatamente intendo a ragion veduta, e per problemi: equazioni da risolvere senza avere paura di aprire nuove parentesi di calcolo.
L’unico problema davvero risolvibile è il problema che può essere risolto sul piano della realtà e non su quello degli ideali.
Tutto il resto è sega mentale, come dice bene Giulio Cesare Giacobbe:
«Il pensiero di problemi non reali è la sega mentale più malefica»
In conclusione: se il tuo problema è che le cose non sono andate come o dove volevi andassero, non hai un problema.
Primo, perché le cose andate, lo dice il tempo stesso del verbo, non sono le cose che devono ancora andare da qualche parte, ed è di quest’ultime che ha senso occuparsi.
Secondo, perché il problema non sono mai le cose che vanno o vengono nella tua vita, bensì il tuo sistema di codifica di quelle cose. Un sistema che per funzionare al meglio ha bisogno di continui aggiornamenti.
VUOI AGGIORNARE IL TUO SISTEMA CON ME?
Prova settimanale dell’eroe
Questa settimana ti invito a prendere in esame un vecchio problema al quale non hai mai trovato una soluzione e a scomporlo in problemi nuovi che hanno a che fare con la tua realtà presente.
Cosa ti occorre, ora, per risolvere i nuovi problemi che hai aggiunto all’equazione?