La vulnerabilità è un fatto. Un fatto che riguarda ciascun essere vivente su questo pianeta. E a voler essere pignoli, il pianeta stesso.
La vulnerabilità arriva insieme a te e se ne va con te. Inevitabile presenza di tutta la tua esistenza, ora si allinea e allea ai tuoi progetti, ora si mette di traverso. Il bello del suo girarsi in ostacolo, però, è che non è mai un divenire gratuito o malevolo.
La vulnerabilità e il suo tempismo
Quante volte ti è capitato, in un momento topico e importante della tua vita, di dover far fronte a un crollo emotivo, o fisico?
A me è successo proprio durante la settimana appena passata e non è stato certo piacevole. L’esplosione di questa débâcle fisica l’ho innescata io stessa di ritorno dalla mia breve ricreazione estiva, quando mi sono ritrovata in una Torino deserta e favorevole a un certo raccoglimento creativo, piena di nuove idee e di progetti da realizzare.
Fomentata dall’entusiasmo e dall’impazienza, due sentimenti che mi sono da sempre famigliari, mi sono infatti buttata sul lavoro con foga e passione, trovandomi a passare al computer anche nove o dieci ore di seguito, senza pause o interruzioni. E il corpo, che non accetta mai di buon grado il ruolo di comparsa nei film delle nostre vite, ha giustamente deciso di boicottarmi il set bloccandosi a livello d’apparato muscolo-scheletrico.
L’intelligenza emotiva della vulnerabilità
Secondo la medicina tradizionale orientale, i problemi a carico dell’apparato muscolo scheletrico che riguardano la zona della schiena – cervicale, dorsale, lombare, sacrale – portano un messaggio di sovraccarico che interessa alcune specifiche emozioni.
Emozioni calpestate o inascoltate che si sfibrano e si stirano per l’eccessivo e infruttuoso sforzo di comunicazione. Emozioni esposte in luoghi e ambienti poco protetti che si ritirano e si contraggono. Emozioni trattenute che si trasformano i spasmi improvvisi e involontari.
Nell’universo emozionale di Paul Ekman (se non lo conosci, ti consiglio di leggere Felicità emotiva, scritto a quattro mani niente meno che con il Dalai Lama) corrisponderebbero a:
• accettazione
• paura
• rabbia
Quando ti rompi, metaforicamente o fisicamente, in un punto e non in un altro, c’è qualcosa che dovresti guardare, probabilmente anche da un bel po’, ma che fai finta di non vedere.
La vulnerabilità come occhio di bue sul tuo mondo interiore
I primi giorni in cui la schiena mi ha bloccata influenzando pesantemente i miei ritmi, le mie abitudini e la mia agenda, ho reagito con una modalità che ben conosco: l’intolleranza.
L’elemento apparentemente esterno, venuto a piazzarsi prepotentemente tra me e i miei piani, mi ha fatto inalberare al punto da innescare tra me e il mio corpo una vera e propria guerra di territorio. Una guerra di trincea, tra l’altro, in cui, di ora in ora, i due schieramenti erano entrambi sfiniti e vinti.
Per due notti il dolore è stato così lancinante che non ho dormito che un paio di ore. A cascata, i giorni seguenti, sono stati faticosissimi. E più faticavo più mi opponevo. E più mi opponevo più il corpo si irrigidiva.
Affrancarsi dal passato
Certe reazioni sono con noi da così tanto tempo che alcune volte abbiamo l’impressione di esserci nati insieme.
In verità, se facciamo un piccolo viaggio sulla timeline del film della nostra vita, possiamo rintracciare tutti gli episodi che hanno seminato una data memoria reattiva.
La reazione intollerante alle rimostranze del mio corpo, per esempio, arriva di certo dagli anni dell’asilo quando, per un’ansia che mi prendeva nel rimanere troppo a lungo separata dagli affetti della mia famiglia, al primo boccone del pasto in mensa il mio stomaco riportava tutto su.
Durante il primo anno, quando a occuparsi di me era una vecchia zia, questa faccenda del vomito era, per quanto inconscia, assolutamente funzionale: dopo i primi tentativi finiti tutti nello stesso spiacevole modo, la zia concluse che era meglio venirmi farmi stare all’asilo soltanto una mezza giornata e recuperarmi per il pranzo.
Quando l’anno successivo la zia si è ammalata al punto da non potersi più prendere cura di me, nessun adulto di casa aveva modo di lasciare impegni e lavoro per occuparsi della mia ansia da separazione.
Così, le invettive del mio corpo sono diventate una vera e propria minaccia per la mia vita di infante. All’asilo nessun bambino voleva sedersi accanto a me a pranzo (come dar loro torto!!!) e quando, di lì a poco, mi sono ritrovata a dover indossare il cerotto correttivo per la vista, i sospetti su di me, dal solo momento del pasto, si sono poi estesi al resto della giornata. In effetti posso immaginare che agli occhi di treenni e quattrenni una bambina pirata posseduta poteva dar adito a una certa diffidenza.
In casa, dov’era in atto una super crisi famigliare, ero diventata un problema che non trovava tempo e modo di essere affrontato se non con rimproveri e castighi.
Dalla zavorra del passato all’àncoraggio positivo
Non ricordo come io abbia, allora, risolto la faccenda con il mio corpo; come alla fine io l’abbia convinto a darmi una tregua. So che per anni la nostra relazione è stata caratterizzata da quella memoria, per cui: lui che a modo suo invia una richiesta; io che lo metto a tacere, in un angolo, per la paura che travolga tutto ciò che ho intorno.
Quando durante un corso di formazione ho scoperto il concetto di ancoraggio, mi sono accorta di quanti ormeggi ‘negativi’ io avessi collezionato a mia insaputa.
Ma se l’inconscio crea le sue àncore, funzionali nel breve periodo, ma quasi mai efficaci sul lungo, la consapevolezza di queste àncore, che nel tempo acquisiscono sempre più lo status di zavorre, ci può aiutare a crearcene di nuove, più efficaci e positive.
La vulnerabilità non è una malattia
La vulnerabilità è un fatto, come si diceva all’inizio. Siamo vulnerabili nel corpo, come nella mente e nei sentimenti. Siamo vulnerabili perché siamo vivi, e finché siamo vivi abbiamo l’opportunità di fare della nostra vulnerabilità, comunque e ovunque essa si presenti, un ingresso nella stanza magica del cambiamento dove tutto è quel che è, ma niente è solo come sembra.
Dove una cervico-brachialgià è in effetti un problema di postura e tensione (oltre che una gran palla al piede!), ma è anche un invito a rivedere modalità e ritmi; a riconsiderare i termini del riposo; a rallentare quanto basta per godere del paesaggio che abbiamo contribuito a creare e che rischiamo di non conoscere mai fino in fondo per la frenesia del viaggio e del movimento continuo.
Sfida settimanale dell’eroe
Scrivi una lettera di ringraziamento a qualunque cosa, in quest’ultimo periodo o ciclicamente, si sia presentato sulla tua strada interferendo con la tua agenda o bloccando il tuo cammino, ed elenca tutte le ragioni per cui vale la pena esprimergli gratitudine.
La lettera sarà l’àncora che ti permetterà di non andare alla deriva la prossima volta che ti troverai di fronte alla tua nemesi e il tuo lasciapassare per un cambiamento in positivo.